Videocamere, email e privacy tutelata: i limiti ai controlli del datore di lavoro

11 Settembre 2023

Il Sole 24 Ore 21 Agosto 2023 di Marisa Marraffino
Azioni per accertare illeciti o a difesa del patrimonio: la tutela dell’addetto cambia
Lecita l’ispezione della posta se il lavoratore è stato informato (e lo si prova)

La privacy del lavoratore non è un diritto assoluto. Negli anni la giurisprudenza ha dettato precisi confini per bilanciare da un lato la tutela alla riservatezza e la dignità dei dipendenti; dall’altro la protezione del patrimonio e dell’immagine aziendale.

Non sempre i contorni sono chiari e definiti, dando luogo a un contenzioso che negli ultimi anni ha riguardato soprattutto:

l’uso delle videocamere di sorveglianza;

il controllo delle email aziendali;

l’impiego di agenzie investigative per rilevare e contestare condotte illecite dei dipendenti.

I controlli

Intanto occorre distinguere tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti o gruppi di dipendenti nello svolgimento della loro prestazione di lavoro, che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori e “controlli difensivi” in senso stretto, diretti ad accertare specifiche condotte illecite ascrivibili – in base a concreti indizi – a singoli dipendenti.

Questi ultimi controlli, anche se effettuati con strumenti tecnologici, non avendo ad oggetto la normale attività del lavoratore, possono essere effettuati dal datore di lavoro anche senza le garanzie previste dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, cioè senza l’autorizzazione dell’ispettorato nazionale del lavoro o dei sindacati e senza informare preventivamente il lavoratore.

Così il datore di lavoro potrà installare telecamere nascoste nel caso di ripetuti ammanchi di cassa o furti e ragionevoli sospetti in capo a determinati lavoratori. Il controllo dovrà essere mirato e giustificato, non potendo in ogni caso legittimare un controllo costante e preventivo rispetto al fatto illecito.

La posta elettronica

Applicando gli stessi principi è lecito il controllo delle email aziendali, a condizione che il lavoratore sia stato adeguatamente informato, che il controllo sia proporzionato alle finalità e non sia un controllo massivo.

In via generale non possono invece essere controllate le email personali, ma potrà essere sanzionato un utilizzo illecito delle mail personali o dei social network durante l’orario di lavoro.

L’informativa al lavoratore non deve essere necessariamente scritta, ma può diventare difficile in sede processuale dimostrare con testimoni l’avvenuta informazione circa i limiti e le modalità dei controlli tecnologici.

Tra i comportamenti più gravi ascrivibili al lavoratore e accertabili tramite i controlli periodici delle email aziendali rientra sicuramente la violazione dell’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro prescritto dall’articolo 2105 del Codice civile.

Così è stato ritenuto legittimo il licenziamento della dipendente che trafuga informazioni riservate per svolgere attività concorrenziale (Tribunale di Roma, Sezione lavoro, sentenza 4032, pubblicata il 5 maggio 2023).

Altrettanto lecite sono le riprese effettuate dall’investigatore privato incaricato di sorvegliare il dipendente che effettuava attività di pulizie per una piscina privata durante l’assenza per malattia. Come specificato più volte dalla giurisprudenza, infatti, in questi casi il trattamento dei dati personali, ammesso di norma in presenza del consenso dell’interessato, può essere eseguito anche in assenza perché serve a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere le investigazioni difensive. Ovviamente anche in questi casi i dati devono essere trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Tribunale di Perugia, sezione lavoro sentenza 129 pubblicata il 30 luglio 2022).

Il casellario giudiziale

Una questione controversa riguarda la possibilità del datore di lavoro di chiedere i carichi pendenti e il casellario giudiziale in fase di selezione. In realtà la Corte di cassazione con un orientamento più recente ha sdoganato tali richieste, anche quando non previsto dal contratto collettivo nazionale applicabile al rapporto di lavoro. Anche in fase precontrattuale, infatti, il datore di lavoro è libero di determinare criteri rigidi che prevedano, ad esempio, l’assenza di processi penali in corso, potendo legittimamente procedere ad una verifica dei requisiti di affidabilità dei lavoratori da assumere ai sensi dell’articolo 41 della Costituzione (Tribunale di Roma, Sezione lavoro, sentenza 6030 pubblicata il 23 giugno 2023).

In alcuni casi poi è addirittura obbligatorio richiedere il certificato del casellario giudiziale per il datore di lavoro, ad esempio nelle attività professionali o volontarie che comportino contatti diretti e regolari con minori, così come previsto dal Dlgs. 39/2014.

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Franchigia a 10mila euro per i frontalieri

11 Settembre 2023

Si fa presente che, la Legge 13 Giugno 2023, n. 83 della Repubblica Italiana ha aumentato, a decorrere dal  1° gennaio 2024, la franchigia applicabile ai lavoratori frontalieri dagli attuali € 7.500,00  (Legge 27 dicembre 2013 nr 147) a € 10.000,00.

Come specificato poi  dalla Circolare 25/E del 18 08 2023 dell’Agenzia delle Entrate al punto 2.4.4 “ (…) Tale innalzamento della franchigia trova applicazione nei confronti di tutti i lavoratori frontalieri, non solo quindi quelli che prestano l’attività lavorativa nelle zone di frontiera in Svizzera”.

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Disposizioni per Cessione beni all’ingrosso

11 Settembre 2023

Si rende noto che con mail del 1° Agosto u.s. l’Ufficio Attività Economiche ha comunicato che:

In relazione all’esito di alcuni controlli effettuati è emerso che titolari di licenza commerciale al dettaglio effettuano cessioni di beni ad altri operatori economici nell’ambito della loro attività caratteristica o ad utilizzatori professionali muniti di specifica autorizzazione nel relativo settore. Poiché l’attività suddetta si configura come attività di commercio all’ingrosso, si invitano gli Operatori Economici interessati ad effettuare apposita pratica al fine di regolarizzare l’attività posta in essere.”

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Iva, la breve sosta tecnica dei beni non modifica il regime della vendita

8 Agosto 2023

Il Sole 24 Ore lunedì 24 luglio 2023 di Giampaolo Giuliani

La risposta 365 sull’import da San Marino è estensibile agli scambi con altri Paesi

È ammesso il doppio documento di trasporto per motivi organizzativi

Con la risposta all’interpello 356 del 20 giugno 2023, l’agenzia delle Entrate ha affrontato il tema delle soste tecniche presso gli spedizionieri. Nel caso esaminato i beni sono importati da San Marino, ma questa particolarità non esclude che le importanti puntualizzazioni fornite nella risposta abbiano una valenza di carattere generale, il cui utilizzo può essere esteso anche agli scambi con altri Paesi Ue o alle operazioni interne al territorio dello Stato.

In sintesi, l’interpello è stato proposto da una società sammarinese, che per le vendite alla clientela italiana si avvale di spedizionieri con propri depositi in Italia. Secondo quanto indicato nell’istanza, ogni collo inviato al deposito in Italia sarebbe scortato da apposito documento di trasporto predisposto dalla società sammarinese e da cui risulterebbe il nominativo del cessionario.

Normalmente, i colli di un singolo cliente risultano accorpati in un unico pallet. Tuttavia, potrebbe accadere che i colli di un cliente siano trasportati dalla società nella sede dello spedizioniere anche in più pallet, insieme ai colli di altri clienti: in queste ipotesi lo spedizioniere, per evidenti motivi di razionalità ed economicità, smonterebbe e riassemblerebbe i pallet per consentire un trasporto unico di tutti i prodotti acquistati da un singolo cliente. In ogni caso i colli sosterebbero presso la sede dello spedizioniere solo per il tempo necessario per riassemblare i pallet e organizzare i trasporti.

Soste e documenti

In questo contesto la società sammarinese si è interrogata per sapere se le vendite devono essere considerate delle cessioni dirette da San Marino, oppure se devono essere considerate delle importazioni in Italia da parte della stessa società che determinano delle successive vendite interne. Inoltre, la società si è posta il problema della compilazione dei documenti di trasporto.

Per quanto riguarda il primo quesito, nell’interpello 356 l’agenzia delle Entrate evidenzia come sia di fondamentale importanza che il perfezionamento della vendita ad acquirenti italiani avvenga quando i beni sono ancora fisicamente in territorio sammarinese.

Infatti, nel caso si verifichi questa situazione, l’amministrazione finanziaria afferma che «la sosta dei beni nella sede dello spedizioniere, per il tempo necessario ad organizzare il trasporto, non interrompe l’originaria operazione di vendita già posta in essere (rispetto alle quali, per stessa ammissione dell’istante, “sono noti tutti i dati dell’operazione quali l’identità dell’acquirente e quantità e qualità dei prodotti acquistati”)».

Non solo, l’agenzia delle Entrate si sofferma anche sul tema della brevità delle soste tecniche, richiamando a questo scopo la datata (ma sempre valida) circolare n. 15 del 19 marzo 1980, relativa all’impiego delle bolle di accompagnamento.

L’Agenzia ricorda come «la sosta di beni presso vettori o spedizionieri ai fini del raggruppamento o smistamento dei beni stessi per la prosecuzione del loro trasporto verso il destinatario indicato nella bolla di accompagnamento non fa venir meno la validità del documento regolarmente emesso dal mittente, a condizione che la sosta sia limitata al tempo strettamente necessario per le suddette operazioni e che nella sosta non sia configurabile l’esecuzione di un distinto rapporto di deposito».

Laddove si verificassero queste condizioni, a parere delle Entrate nulla osta che le operazioni di vendita in Italia, realizzate dalla società sammarinese, siano considerate delle vendite dirette: pertanto, la circostanza che per motivi organizzativi siano utilizzati due documenti di trasporto, anziché uno, è irrilevante.

Trattandosi di acquisti presso operatori sammarinesi, merita di essere rilevato quanto indicato dall’interpellante in tema di eseguibilità dell’operazione, ma stranamente non ripreso dall’agenzia delle Entrate nella risposta. Secondo quando disposto dal comma 5, articolo 1, del decreto del 21 giugno 2021, che regola i rapporti di interscambio tra Italia e San Marino, le cessioni si considerano effettuate soltanto alla partenza della merce o dei beni da San Marino e non quando viene importato il bene nel territorio dello Stato.

Se i tempi si allungano l’operazione si «spezza» e viene gestita in due fasi

All’importazione o acquisto intracomunitario segue una cessione interna

L’interpello 356 del 20 giugno 2023 dà un utile spunto per ricordare quando le soste tecniche non sono riconosciute tali: ad esempio, perché i beni consegnati allo spedizioniere non sono già stati venduti, oppure non si è ancora perfezionato il contratto di cessione o, ancora, i termini di giacenza sono tali da ravvisare un contratto di deposito presso lo spedizioniere.

In queste situazioni, se si tratta di beni importati da San Marino o da altri Paesi terzi, oppure acquistati da altri Paesi membri Ue, è necessario che il cedente nomini un proprio rappresentante fiscale, oppure si identifichi in Italia, nel caso in cui sia operatore di altri Stati membri Ue.

Di fatto, la vendita non è più diretta, ma viene virtualmente “spezzata”, e di conseguenza l’operazione ai fini Iva non è più unica, ma viene gestita distinguendo due fasi. Nella prima fase viene realizzata un’importazione o un acquisto intracomunitario da parte del cedente; nella seconda viene realizzata una cessione interna. Ovviamente, in base alle situazioni e ai soggetti coinvolti, ci saranno adempimenti con differenze anche rilevanti.

I diversi obblighi

In generale, è previsto che nelle importazioni da San Marino il rappresentante fiscale della società sammarinese debba assolvere l’imposta sul valore aggiunto in Italia limitandosi ad attribuire una doppia numerazione alla fattura ricevuta connessa all’annotazione nel registro delle fatture emesse e degli acquisti. Infatti, poiché il rappresentante fiscale non è un soggetto stabilito, ma solo identificato, non è tenuto all’adempimento dell’esterometro. Ciò vale anche per gli acquisti intracomunitari che procedono la successiva vendita interna; tuttavia, in questo caso potrebbe essere necessario predisporre il modello Intra.

Per le importazioni, invece, il rappresentante fiscale provvede ad assolvere i dazi e l’Iva in dogana e in seguito ad annotare il documento doganale nel registro degli acquisti: adempimento che consente di detrarre l’imposta indicata nel documento. Nella successiva cessione, in base a quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 17 del Dpr 633/1972, il rappresentante fiscale non interviene sempre, ma solo nel caso in cui il cliente sia un privato o sia un soggetto passivo ad esso assimilato non stabilito in Italia.

Al contrario, se l’acquirente è un operatore economico stabilito in Italia, è quest’ultimo che deve assolvere l’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile.

Vale la pena ricordare come, trattandosi di un’operazione interna realizzata da operatori esteri in veste di cedenti, l’acquirente deve attendere la fattura dal cedente se è comunitario: mentre deve emetttere autofattura negli altri casi. Ciò vale anche per le cessioni da parte di operatori sammarinesi.

GLI ESEMPI

Un operatore Ue riceve un acconto per beni che verranno consegnati al proprio cliente italiano previa una breve sosta tecnica in Italia presso lo spedizioniere.

L’operazione costituisce una cessione diretta, quindi per il cliente italiano è un acquisto intracomunitario: gli acconti rilevano ai fini Iva solo se il cedente operatore Ue ha emesso una fattura. Si tratta di una possibilità, come previsto dall’articolo 39 del Dl 331/93, che non impone alcun obbligo di emettere la fattura per le somme ricevute a titolo di anticipati pagamenti.

Nel caso la fattura sia emessa, l’acquirente dovrà assolvere l’imposta con il meccanismo dell’inversione contabile.

Un operatore sammarinese riceve un acconto per la vendita di un bene che viene consegnato al cliente italiano da un deposito in Italia.

Trattandosi di un’operazione interna, l’acquirente deve assolvere l’imposta mediante autofattura e doppia registrazione, diversamente da quanto accadrebbe per una cessione diretta di beni provenienti da San Marino, dove gli acconti non rilevano, in quanto il presupposto impositivo sorge solo quando il bene viene importato

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Decreto Delegato 10 Luglio 2023 nr 106 – Disciplina del commercio dell’oro e degli altri metalli preziosi da investimento

8 Agosto 2023

Come previsto dal  Decreto Delegato nr. 106 del 2023 entrerà in vigore il 31 agosto la disciplina del commercio dell’oro e degli altri metalli preziosi da investimento.

L’attività sarà “(…) riservata agli operatori economici in possesso di determinati requisiti che sono iscritti nell’apposito Registro degli Operatori Professionali in metalli preziosi da investimento tenuto dall’Agenzia per lo Sviluppo Economico – Camera di Commercio della Repubblica di San Marino (…). 

Per “metalli preziosi da investimento” il DD intende:

  • l’oro e l’argento da investimento, intendendo per tale l’oro e l’argento da investimento in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro e dell’argento da investimento, in ogni caso di peso superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli legali;
  • il platino e il palladio da investimento, intendendo per tale il platino e il palladio da investimento in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato del platino e del palladio da investimento, in ogni caso di peso superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 950 millesimi, rappresentato o meno da titoli legali;
  • le monete in oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo l’anno 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell’80 per cento il valore sul mercato libero del metallo da investimento in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dall’Unione europea ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, serie C, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco.

Ai fini dell’iscrizione al Registro degli Operatori Professionali in metalli preziosi da investimento, l’operatore economico deve essere in possesso dei seguenti requisiti:

a) forma giuridica di società per azioni o di società a responsabilità limitata;

b) sede legale nella Repubblica di San Marino;

c) oggetto sociale che includa espressamente l’attività di commercio di metalli preziosi da investimento;

d) collegio sindacale o un sindaco unico, quale organo di controllo;

e) partecipanti al capitale, amministratori e sindaci in possesso dei requisiti di onorabilità previsti tempo per tempo dalla regolamentazione adottata dalla Banca Centrale della Repubblica di San Marino con riguardo agli esponenti aziendali di imprese finanziarie.

Le imprese finanziarie possono esercitare il commercio di metalli preziosi da investimento qualora ciò sia altresì previsto dalla regolamentazione emanata dalla Banca Centrale della Repubblica di San Marino in attuazione dell’articolo 4, comma 3 della Legge nr- 165 del 2005. L’operatore economico che effettua l’attività di commercio all’ingrosso di metalli preziosi da investimento dovrà essere autorizzato ai sensi del DD del 22 giugno 2018 n.68.

DD106-2023

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Decreto Delegato 14 Luglio 2023 nr 107 – Modifiche al D.D. 30.09.2013 nr 129 “Regolamento di attuazione per la disciplina delle professioni turistiche di cui al Titolo V della L 27.01.2006 nr 22 – Legge Quadro sul turismo della Repubblica di San Marino”

8 Agosto 2023

Il Decreto Delegato nr 107 interviene sulla Legge Quadro sul Turismo nella Repubblica di San Marino. In particolare, all’art. 1, vengono specificati ulteriormente i requisiti necessari per i soggetti già abilitati  nel caso si voglia l’abilitazione all’uso professionale di ulteriori lingue straniere e all’art. 2  ci si riferisce alle tariffe determinate annualmente con delibera del Congresso di Stato.

DD107-2023

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Decreto Legge 6 Luglio 2023 nr 105 – Differimento dei termini previsti dagli articoli 17, 20 e 24 della Legge 9.12.2022 nr 164 – Riforma delle norme relative all’occupazione

8 Agosto 2023

Con il Decreto Legge nr 105 vengono demandati ad apposito Decreto Delegato le modalità, i limiti temporali e le condizioni ostative previste per:

  • i contratti a tempo determinato (art. 17 L 168/2022)
  • le prestazioni di lavoro temporanee (art. 20 L 168/2022)
  • distacchi di lavoratori (art. 24 L 168/2022)

DL105-2023

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«Prestare» i conti correnti non è concorso ma riciclaggio

8 Agosto 2023

Il Sole 24 Ore 18 luglio 2023 di Eleonora Alampi e Valerio Vallefuoco

Per la Corte il money mule agevola l’occultamento del profitto già conseguito

Tempi duri per i money mule (i «muli del denaro»): per la Seconda sezione penale della Cassazione integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro provento del reato di frode informatica, consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari.

Il fenomeno del money muling, ancora oggi soprattutto per le frodi informatiche e con le nuove tecnologie, è uno dei metodi più utilizzati dai riciclatori e consiste nel reclutare soggetti più o meno consapevoli che mettono a disposizione i conti a fronte una retrocessione percentuale per far transitare somme anche piccole e ostacolarne la tracciabilità. La Cassazione con la sentenza 29346/23 del 6 giugno scorso ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati, cui il Gip di Torino aveva applicato la pena patteggiata per riciclaggio. Gli imputati avevano eccepito l’erronea qualificazione del fatto, osservando che la condotta ascritta consisteva nell’aver messo a disposizione il proprio conto corrente per farvi confluire il denaro proveniente da una truffa informatica. Tale condotta sarebbe elemento costitutivo della frode informatica, in quanto strumentale al conseguimento dell’ingiusto profitto e non invece autonoma condotta di riciclaggio, così come sostenuto dal Gip. Di qui l’eccezione di mancata riqualificazione del fatto come frode informatica. Per l’articolo 640-ter c.p. commette il reato chi, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Nel caso di specie, la truffa era stata perpetrata con il sistema del man in the middle. È una tipologia di attacco con cui l’hacker si frappone tra due soggetti (per lo più di un rapporto commerciale), assumendo l’identità di uno per indurre l’altro a dare informazioni riservate o a farsi versare denaro. Le modalità di realizzazione sono alla base dell’analisi della Corte che si sofferma su un dato non contestato: gli autori della frode informatica avevano già conseguito il profitto con la percezione fraudolenta delle somme di denaro corrisposte dalle vittime. L’azione delittuosa dei ricorrenti era, invece, consistita nel mettere a disposizione il proprio conto corrente senza concorrere in alcun modo nella truffa.Quindi, ad avviso della Corte, è riciclaggio, che (articolo 648 bis del codice) ha ambito applicativo circoscritto alle ipotesi di mancato concorso nel reato presupposto. La clausola di riserva, contenuta nella norma esclude, infatti, dal novero dei soggetti attivi il concorrente nel reato presupposto, la cui condotta, intesa ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, costituisce un post factum non punibile. In altri termini, presupposto del riciclaggio è la precedente commissione di un altro reato, risultante dagli atti del processo, il cui compimento si sia esaurito nel momento di inizio della condotta di riciclaggio.

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Casa in Italia e niente iscrizione Aire: resta possibile la residenza all’estero

8 Agosto 2023

Il Sole 24 Ore lunedì 17 luglio 2023 di Nicola Borzomì e Fabrizio Cancelliere

La Cgt Treviso applica i criteri della Convenzione Ocse per risolvere i casi dubbi

L’abitazione permanente è oltreconfine dove lavora e ha famiglia il contribuente

Non può essere considerata fiscalmente residente in Italia la persona fisica che nello Stato estero dispone di una «abitazione permanente», di un permesso di soggiorno, svolge lì la propria attività lavorativa documentata dalle certificazioni fiscali rilasciate dai datori di lavoro, da cui risulta la tassazione nel Paese estero dei compensi percepiti e il relativo pagamento dei contributi previdenziali. Ancora, costituiscono elementi a favore del contribuente il fatto che lo stesso abbia nel Paese estero il centro degli interessi vitali (coniuge avente nazionalità dello Stato estero, figlia nata e frequentante le scuole dell’obbligo nel Paese estero). Di contro, non rileva la circostanza che la persona fisica abbia disponibilità di una abitazione in Italia (“casa avita”) utilizzata durante le brevi permanenze in Italia, né il fatto che lo stesso non sia iscritto all’Aire.

Sono questi gli elementi fattuali valorizzati dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Treviso con la sentenza n. 44/2/2023, depositata in data 1° febbraio 2023 (presidente Cicero, relatore Celotto).

La questione riguardava, appunto, il caso di una persona fisica ritenuta dall’agenzia delle Entrate fiscalmente residente in Italia sulla base del fatto che lo stesso, da un lato, risultava iscritto nelle liste anagrafiche di un Comune italiano, né, dall’altro, fosse iscritto all’Aire.

Il controllo traeva origine delle comunicazioni acquisite nell’ambito della cooperazione amministrativa nel settore fiscale, prevista dalla direttiva 2011/16/Ue del Consiglio del 15 febbraio 2011.

La Corte di giustizia, nel valorizzare gli elementi di fatto prodotti dal contribuente, risolve la controversia sulla base di quanto previsto dalla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e (nel caso in esame) la Romania, la quale, conformemente a quanto previsto dall’articolo 4 del modello di Convenzione Ocse (tie breaker rules),dispone che:

1 in caso di conflitto tra Stati circa la residenza fiscale di una persona fisica il potere impositivo spetti preliminarmente allo Stato ove il soggetto abbia una abitazione permanente;

2 oppure a quello in cui abbia il proprio centro di interessi vitali;

3 e ancora, in subordine, a quello in cui esso abbia una dimora abituale;

4 come ultimo criterio (fourth rule), il modello Ocse individua la nazionalità.

5 Infine, qualora nessuno dei predetti criteri possa trovare concreta applicazione, la norma rinvia alla procedura amichevole tra gli Stati coinvolti.

La decisione si pone in continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cassazione 18009/2022) ed è conforme alla normativa interna (articolo 117, Costituzione e articolo 75, Dpr 600/73) che stabilisce, appunto, la prevalenza della disciplina convenzionale sulla normativa interna (in tal senso, Cassazione 14240 e 15207/2021).

Si ricorda, infine, che nel disegno di legge delega fiscale è prevista – all’articolo 3) lettera c) – una revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società, al fine di renderla coerente con la migliore prassi internazionale e con le convenzioni sottoscritte dall’Italia per evitare le doppie imposizioni.

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False fatture, concorso dei membri del cda solo se hanno avuto conoscenza del reato

8 Agosto 2023

Il Sole 24 Ore 19 luglio 2023 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Per la responsabilità dei manager mutuato l’indirizzo sulla bancarotta

Necessario provare anche la volontà di non attivarsi per scongiurare l’evento

La decisione.  Escluso l’automatismo

I membri del cda che non hanno sottoscritto la dichiarazione fraudolenta con false fatture, rispondono in concorso del reato con l’amministratore che l’ha firmata, solo se hanno avuto conoscenza dell’illecito e non si siano attivati per impedire l’indicazione dei falsi documenti o la sua presentazione. È questo, in sintesi, l’interessante principio che emerge dalla sentenza n.31017 della Corte di cassazione (sezione III penale) depositata ieri.

La pronuncia concerne una casistica molto diffusa (praticamente tutti i casi di dichiarazioni fraudolente ascrivibili a società dotate di consiglio di amministrazione) ma che registra rarissime sentenze di legittimità.

A una srl veniva contestato l’utilizzo in dichiarazione di fatture soggettivamente inesistenti. Nel procedimento penale venivano coinvolti per violazione dell’articolo 2 del Dlgs 74/2000, non solo l’amministratore che aveva sottoscritto la dichiarazione, ma anche gli altri due membri del cda dotati di poteri sociali disgiunti differenti.

Dopo la condanna nei gradi di merito, i due amministratori ricorrevano in Cassazione lamentando, tra l’altro, che la sentenza di condanna si era limitata a valorizzare solo il dato della loro carica, senza valutare la loro estraneità rispetto alle vicende e quindi alla sottoscrizione della dichiarazione.

La Suprema Corte, dopo aver rilevato la presenza di un solo precedente specifico in tema di reati tributari, ha ritenuto di mutuare l’orientamento (consolidato) espresso con riferimento ai reati di bancarotta. In sostanza, la responsabilità degli amministratori, privi di delega, per omesso impedimento dell’evento, è configurabile ove sia provata:

l’effettiva conoscenza dei fatti pregiudizievoli o quanto meno di segnali di allarme;

la volontà di non attivarsi per scongiurare detto evento.

Di conseguenza, anche ai fini penali tributari, gli amministratori di una società, che non abbiano sottoscritto una dichiarazione fiscale fraudolenta, avendovi provveduto il consigliere all’uopo delegato, concorrono nel reato solo ove siano stati a conoscenza dell’inserimento di tali documenti mendaci in contabilità e, ciononostante, non si siano attivati per impedire la loro indicazione in dichiarazione o la presentazione della stessa.

Per la sussistenza di tali circostanze non è sufficiente evidenziare, genericamente, il coinvolgimento degli amministratori nelle scelte gestionali, o ancora l’entità delle operazioni (nella specie circa il 10% del volume di affari), soprattutto in un’ipotesi, come quella al vaglio dei giudici, di fatture soggettivamente inesistenti e quindi di operazioni effettivamente avvenute. Sarebbero stati necessari in altre parole elementi idonei a provare il coinvolgimento degli amministratori che non avevano sottoscritto la dichiarazione.

Appare evidente dalla sentenza che vada escluso «in automatico» il concorso dei membri del cda nei reati dichiarativi, e, soprattutto la necessità di prove della loro consapevolezza dell’illecito che, volontariamente, hanno deciso di non impedire.

Si ritiene che tali circostanze debbano essere poi valutate rispetto al caso concreto. Ad esempio, la conoscenza degli amministratori di «segnali di allarme» in presenza di fatture oggettivamente inesistenti per importi rilevanti (che presuppongono presso l’azienda magazzini, trasporti, personale, che magari non esistono) è ovviamente più agevole rispetto ad acquisti soggettivamente inesistenti, in cui difficilmente l’amministratore ha consapevolezza della non coincidenza tra l’emittente il documento fiscale e il reale cedente dei beni. In via generale, poi, l’effettiva e seria adozione del sistema preventivo (ex Dlgs 231/2001) potrebbe rappresentare un importante strumento difensivo per evidenziare la volontà degli amministratori di prevenire qualsivoglia forma di illecito.

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