Patto di famiglia, la compensazione tra fratelli va tassata come donazione

7 Giugno 2023

Il Sole 24 Ore 22 maggio 2023 di Angelo Busani

La Cgt Firenze aderisce all’ultimo orientamento della Cassazione

L’onere di disporre tale attribuzione si origina per volontà del disponente

Dal punto di vista tributario nel patto di famiglia si considerano come attribuzioni entrambe effettuate dal disponente sia quella a favore del legittimario assegnatario (avente a oggetto un’azienda o una quota di partecipazione al capitale di una società) sia quella effettuata da quest’ultimo a favore dei propri fratelli o sorelle, a “compensazione” dell’attribuzione dell’azienda o della quota di partecipazione posta in essere dal disponente a vantaggio del legittimario assegnatario.

È questa la decisione n. 129/2/2023 della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Firenze, depositata l’8 marzo 2023 (presidente Pezzuti, relatrice Pompei), la quale si pone dunque in scia con l’orientamento da ultimo adottato in sede di legittimità, vale a dire la sentenza di Cassazione 29506/2020, che radicalmente invertì la precedente giurisprudenza della Suprema corte (e cioè la decisione n. 32823/2018) ove l’attribuzione effettuata dal legittimario assegnatario a favore del legittimario non assegnatario era stata ritenuta tassabile come un’attribuzione tra fratelli e sorelle.

Gli orientamenti

La differenza tra i due orientamenti è evidentissima:

secondo la giurisprudenza più recente (cui aderisce ora anche il giudice fiorentino), se il padre trasferisce al figlio Tizio una partecipazione del valore di 4 milioni di euro e il figlio Tizio compensa il fratello Caio con l’attribuzione di una somma di denaro (o di un bene immobile) del pari valore di 4 milioni di euro, quest’ultima attribuzione subisce imposta di donazione per 120mila euro (4milioni meno 1 milione x 4%);

secondo la giurisprudenza più antica, invece, l’imposta di donazione era da determinarsi in 234mila euro (4milioni meno 100mila x 6%).

Il ragionamento svolto nell’orientamento giurisprudenziale più recente è che l’imposta di donazione è un tributo che si appunta sull’incremento del patrimonio del beneficiario per effetto dell’attribuzione dal medesimo ricevuta. Se, dunque, il beneficiario è gravato da un onere a vantaggio di un altro soggetto, il valore dell’onere decurta il valore dell’attribuzione dal medesimo ottenuta e costituisce, a sua volta, un’attribuzione (che ha fonte nella volontà del soggetto disponente) a vantaggio del soggetto a cui favore l’onere è disposto, da tassare, anch’essa, con l’imposta di donazione.

Il principio

Nel caso del patto di famiglia accade dunque il medesimo fenomeno: per volontà del disponente, si origina, per legge, il gravame del legittimario assegnatario di compensare il legittimario non assegnatario per l’attribuzione effettuata dal disponente a favore del suo discendente avente a oggetto un’azienda o una quota di partecipazione al capitale di una società.

Pertanto, la tassazione deve essere applicata come se tutte le attribuzioni disposte nel patto di famiglia (e, quindi, anche quelle tra un fratello e l’altro fratello) fossero effettuate direttamente dal disponente.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

L’esterovestizione ricade nell’abuso del diritto (e il Fisco deve provarla)

7 Giugno 2023

Il Sole 24 Ore lunedì 15 maggio 2023 di Nicola Borzoni e Fabrizio Cancelliere

Per la Cgt Liguria la nuova norma si applica ai giudizi in corso al 16 settembre ’22

Nel contrasto all’esterovestizione di società ed enti, la prova da parte del Fisco deve essere rigorosa e precisa e deve tenere conto della novità introdotta nell’articolo 7, comma 5-bis, Dlgs 546/1992, applicabile (anche) ai giudizi in corso al 16 settembre 2022. Sono questi i principi espressi dalla Cgt della Liguria 56/1/2023 del 25 gennaio scorso (presidente Cardino, relatore Fanucci): nell’accogliere l’appello del contribuente, ha ritenuto non adeguatamente provata l’esterovestizione della società accertata, avente ad oggetto il noleggio a terzi di aeromobili: la società, secondo i giudici, «era pienamente attiva ed operativa all’estero come risulta dal relativo contratto di affitto, dalle bollette delle utenze, dagli estratti conto bancari, dalle assemblee sociali ivi svolte e dalla corrispondenza e documentazione sociale ivi ricevuta e conservata, dall’assenza di rapporti con banche italiane».

Il tema dell’esterovestizione è stato più volte affrontato nel corso degli ultimi anni dalla Cassazione, all’interno della quale si sono formati due orientamenti.

Nel primo (tra le altre, Cassazione 2869/2013 e 33234/2018, richiamate nella sentenza 7454/2022; 8297/2022; 5075/2023) l’esterovestizione rientrerebbe nel fenomeno dell’abuso di diritto e spetterebbe all’Agenzia dimostrare la artificiosità della localizzazione della società all’estero al fine di ottenere un vantaggio fiscale.

Secondo un diverso, più recente, orientamento, la individuazione della residenza ai fini Ires va effettuata sulla base delle disposizioni dell’articolo 73 del Tuir, trattandosi di una fattispecie riconducibile all’evasione e non all’abuso del diritto (Cassazione 11709 e 1710/2022; 23150 e 23225/2022; 1753/2023).

L’adesione all’uno o all’altro orientamento determina conseguenze ai fini della ripartizione dell’onere probatorio e delle garanzie riconosciute al contribuente in sede di controllo, di accertamento e nella fase contenziosa.

Ebbene, nel caso affrontato, i giudici sembrano seguire il primo orientamento, confermando peraltro il principio per cui il nuovo articolo 7, comma 5-bis, Dlgs 546/1992, si applica anche ai giudizi in corso al 16 settembre 2022, come quello in esame. La posizione è in linea peraltro con altre corti di merito che hanno annullato la pretesa fiscale ritenuta carente sotto il profilo probatorio (Cgt Reggio Emilia n. 293/2022; Cgt Emilia Romagna n. 90/2023; Cgt Siracusa n. 3856 e n. 3866/2022; Cgt Enna n. 1509/2022).

Anche la stessa Cassazione, con le ordinanze 31878-1880/2022, ha affermato, implicitamente, ma chiaramente, l’applicabilità immediata della norma anche ai processi in corso, pur precisando che la novella «non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto a quelli vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale».

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Deduzione tramite iscrizione contabile

7 Giugno 2023

Il Sole 24 Ore 11 maggio 2023 di Luca Galani

PERDITE SU CREDITI

Nei fallimenti c’è tempo sino a fine procedura

Nel caso delle perdite su crediti “automatiche”, la deduzione segue l’imputazione in bilancio. Se il debitore si trova in una procedura concorsuale o qualora il credito sia di modesto importo, l’impresa è libera di scegliere il momento in cui dedurre la perdita, iscrivendo l’importo al conto economico.

L’articolo 13 del Dlgs 147/2015 stabilisce che la deduzione delle perdite su crediti verso debitori assoggettati a procedure concorsuali e assimilate (accordi di ristrutturazione omologati e piani attestati) e delle perdite di modesto ammontare (valore unitario inferiore a 2.500 euro, elevato a 5.000 euro per le imprese con fatturato superiore a 100 milioni), scaduti da oltre sei mesi, si considera correttamente effettuata nell’esercizio di imputazione in bilancio anche se successivo al periodo di imposta o quando, in base all’articolo 101 del Tuir, si ritengono verificati gli elementi certi e precisi.

L’imputazione contabile della perdita non deve, però, effettuarsi oltre l’esercizio in cui si è operata, o si sarebbe dovuta operare, la cancellazione del credito secondo corretti principi contabili.

Ciò avviene, in particolare, a seguito della prescrizione del credito oppure in presenza di una rinuncia al credito o anche di una transazione con il debitore (che implica la rinuncia a riscuotere una parte del credito) e, infine, in caso di atti di cessione del credito con il trasferimento dei relativi rischi.

La risposta 12/2018 ha precisato che, in caso di fallimento del debitore, l’evento che fa scattare l’obbligo di cancellazione del credito (termine ultimo per la deduzione della perdita) è costituito dalla chiusura della procedura concorsuale.

Per la compilazione della dichiarazione dei redditi 2023, occorre pertanto verificare che per le perdite “automatiche” non ancora imputate a conto economico (anche mediante svalutazioni o accantonamenti) non risultino scaduti, entro la fine del decorso esercizio, i termini per la cancellazione.

Qualora l’iscrizione nel conto economico e la conseguente deduzione non vengano effettuate neppure nell’esercizio in cui si sono verificati i presupposti per la cancellazione del credito, la deduzione stessa non sarà più consentita. A meno di non ricorrere alla correzione dell’errore contabile (risposta 12/2018), adottando, per le società con revisione legale, le nuove regole semplificate previste dal decreto legge 73/2022 per dedurre gli oneri risultanti dalla “correzione”.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Mediazione, non vale la procura speciale senza poteri sostanziali

7 Giugno 2023

Il Sole 24 Ore lunedì 8 maggio 2023 di Valentina Maglione Fabrizio Plagenza

Il legale non può autenticare il documento anche se il rappresentante è lui

Perché la procura speciale rilasciata dalla parte a chi la rappresenta in mediazione sia idonea non basta che nella formula sia citato il procedimento di mediazione, ma occorre specificare i poteri sostanziali attribuiti al delegato. Inoltre, la procura speciale non può essere autenticata dal difensore. Lo ha chiarito la Corte d’appello di Napoli che, con la sentenza 1262 del 21 marzo 2023 (presidente Magliulo, relatore Marinaro), ha anche precisato che, in caso di mediazione disposta dal giudice, la procedura di mediazione deve riguardare tutte le domande e che, quando una parte ha presentato appello principale e l’altra appello incidentale, è onere di entrambe ampliare l’oggetto della mediazione.

Nel caso esaminato, relativo alla compravendita di due immobili, i giudici hanno disposto con ordinanza la mediazione e fissato la successiva udienza di rinvio. Alla procedura, avviata e conclusa (con esito negativo) nei tempi, hanno partecipato un avvocato, delegato dalla parte istante, e la parte invitata, con il suo legale. Ma la «procura speciale» rilasciata dalla parte istante non convince la Corte: lo stile e il contenuto – scrivono i giudici – sono tipici di una procura speciale alle liti in quanto manca il conferimento al rappresentante dei poteri di disporre dei diritti sostanziali necessari alla composizione della controversia.

La Corte d’appello, richiamando le indicazioni della Cassazione, ricorda che è prevista la partecipazione personale delle parti alla mediazione perché il suo successo è riposto proprio nel contatto diretto tra le parti e il mediatore. Tuttavia, la partecipazione è delegabile, ma occorre «una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali». Se la parte sceglie di farsi rappresentare dal difensore, la procura speciale non può essere autenticata dallo stesso legale. Una direzione confermata anche dalla riforma contenuta nel decreto legislativo 149/2022.

La Corte d’appello dichiara quindi l’improcedibilità delle domande in quanto la parte istante non ha partecipato al primo incontro di mediazione, né personalmente, né tramite un delegato con idonea procura. Né avrebbe rilievo una ipotetica «ratifica» depositata presso l’organismo: sarebbe tardiva e inidonea, perché la valutazione sulla corretta partecipazione va fatta considerando ciò che è avvenuto durante la procedura e che risulta dal verbale.

Non sana la situazione neanche il fatto che la mediazione si chiuda con esito negativo: la procura idonea occorre già per partecipare al primo incontro. Né è possibile sanare l’improcedibilità disponendo una nuova mediazione, dato che la verifica sulla condizione di procedibilità va fatta all’udienza di rinvio.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Sponsorizzazioni, salva la deduzione se l’ufficio non prova la restituzione

16 Maggio 2023

Il Sole 24 Ore lunedì 24 aprile 2023 di Alessia Urbani Neri

Il giudice applica i principi derivanti dalla riforma del processo tributario

Il Fisco non ha dimostrato la sovrafatturazione delle somme contestate

La Cgt di secondo grado dell’Emilia Romagna ha accolto l’appello della società contribuente, osservando che spetta all’amministrazione finanziaria provare in giudizio le ragioni su cui si fonda l’atto impositivo, anche nel caso in cui venga disconosciuta una deduzione. La decisione, sentenza 294/8/2023 (presidente Russo, relatore Blasi), conferma un precedente indirizzo (sentenza 293, sezione 1, depositata il 30 dicembre 2022).

La legge 130/22 di riforma del processo tributario, in vigore dal 1° settembre 2022, ha riformato l’articolo 7 del Dlgs 546/92, introducendo al comma 5-bis uno specifico obbligo a carico dell’amministrazione di fornire «prova in giudizio» delle «violazioni contestate con l’atto impugnato» mediante una «circostanziata e puntuale» dimostrazione della fondatezza della pretesa tributaria.

Nella vicenda in esame, l’amministrazione finanziaria aveva, infatti, rettificato il reddito societario senza riconoscere la deduzione delle spese relative a fatture afferenti a operazioni inesistenti. In particolare, l’Agenzia fiscale, sulla base di una indagine finanziaria condotta anche presso terze imprese, aveva contestato l’indebito utilizzo di diverse fatture emesse nell’ambito di una più ampia frode compiuta da alcune aziende sportive che sovrafatturavano i costi di sponsorizzazione al fine di consentire la deduzione di spese superiori a quelle in concreto sostenute, procedendo poi alla restituzione di gran parte delle somme pagate.

Il collegio, pur ritenendo l’accertamento correttamente motivato sulla base degli elementi presuntivi raccolti in sede amministrativa, rilevava che l’ufficio non aveva suffragato tali dati in sede giudiziale, con validi elementi probatori. Anzi, osservava che gli esiti del giudizio penale condotto nei confronti dei responsabili delle società sportive, che vendevano gli spazi pubblicitari, escludevano la sovrafatturazione contestata nell’atto impositivo; mentre nessuno sponsor veniva coinvolto nell’indagine penale, né sopportava alcun provvedimento restrittivo.

Non avendo l’amministrazione provato documentalmente l’esistenza della retrocessione (rectius: restituzione) degli importi pagati agli sponsor in forza delle fatture contestate, l’autorità giudiziaria annullava l’atto per carenza di argomentazioni probatorie idonee a sostenere la pretesa tributaria.

Ebbene, al di là del riparto dell’onere prova, che trova la sua fonte normativa nell’articolo 2697 del Codice civile, il comma 5-bis dell’articolo 7 del Dlgs 546/92 richiede il corretto adempimento di tale onere probatorio da parte degli uffici, indirizzando l’azione amministrativa verso una prova più rigorosa dell’atto impositivo, che deve essere data in sede giudiziale, senza intaccare le regole procedimentali che riguardano l’obbligo di motivazione dell’accertamento.

Ne deriva che, una volta che l’ufficio ha fornito indizi sufficienti per sostenere l’obbligazione tributaria, in caso di contestazione nel merito da parte del contribuente, è tenuta in sede giudiziale a provare con maggior responsabilità e puntualità la fondatezza della pretesa fiscale.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Il paradosso: la stretta sui veicoli con targa estera moltiplica gli abusi

16 Maggio 2023

Il Sole 24 Ore 3 maggio 2023 di Maurizio Caprino

Tra i vantaggi, circolazione con mezzi non a norma Ue e risparmi su vari tributi

L’ultima stretta sui “furbetti della targa estera” ha un anno e sta mostrando più falle del previsto. Dalla sua entrata in vigore (18 marzo 2022) con le modifiche agli articoli 93, 94, 132 e 196 del Codice della strada e il nuovo articolo 93-bis, oltre ai timori per le entrate fiscali legate ai veicoli (Iva, bollo auto, eventuale superbollo e Ipt, si veda «Il Sole 24 Ore» del 28 marzo 2022), sono emersi casi in cui il nuovo regime è servito per risparmiare ulteriormente sulle tasse e regolarizzare veicoli che non hanno i requisiti per circolare con targa italiana.

Perno di tutto è il Reve, il Registro veicoli immatricolati all’estero tenuto dal Pra, in cui vanno iscritti i mezzi con targa straniera utilizzati in Italia per più di 30 giorni da conducenti che risiedono nel nostro Paese (si veda la scheda sopra). Dopo la normale ondata iniziale di iscrizioni (22.233 tra fine marzo e giugno 2022), ci si è assestati su numeri bassi: da 1.700 a 3.600 al mese. Ma l’iscrizione al Reve rischia di diventare di massa: gli operatori vedono sempre nuove situazioni in cui la si usa in modo sospetto.

Sul fronte fiscale, è innanzitutto il caso dell’iscrizione per soli sei mesi: il tempo necessario affinché un veicolo acquistato nuovo all’estero si possa considerare ai fini Iva come usato e quindi tassato non sul suo intero valore da nuovo, ma solo sul margine di guadagno del rivenditore che risulta averlo ceduto d’occasione al cliente finale.

Una variante di questo schema consiste nel prendere in noleggio a lungo termine un veicolo in un Paese con Iva più bassa rispetto all’Italia, per farselo cedere dopo sei mesi dal noleggiatore. La formula del noleggio (come il subnoleggio e il comodato) viene usata largamente per iscriversi al Reve: né le norme né le prassi impongono verifiche documentali o limitazioni.

Un altro vantaggio fiscale è stato scoperto da chi ha iscritto al Reve veicoli già immatricolati in Italia e poi radiati per esportazione. Non di rado, dietro queste radiazioni non c’è un effettivo trasferimento all’estero, bensì l’intenzione di continuare a circolare prevalentemente in Italia senza pagare il superbollo cui si era soggetti quando il mezzo aveva targa italiana. Si può eludere il divieto di circolazione imposto ai veicoli gravati dalle ganasce fiscali: il fermo amministrativo non impedisce l’esportazione, che a quel punto si usa per ottenere una targa estera con cui passare indenni tutti i controlli in cui non venga verificato anche il numero di telaio, ossia la stragrande maggioranza.

Insomma, il vantaggio non è più riservato a chi si procura all’estero un’auto molto potente, ma si allarga a chi ne ha già una normalmente immatricolata in Italia.

C’è pure un fronte tecnico. Può riguardare particolari auto americane non in vendita in Europa, omologate solo negli Usa, secondo standard locali non riconosciuti nella Ue. A volte non si riesce a ottenere la targa italiana neanche apportando le modifiche necessarie per rientrare negli attuali standard Ue o facendo valere il fatto di essere italiani residenti in Usa che stanno rimpatriando (cosa che normalmente dà diritto a una deroga): la materia è complessa e frammentata. Con l’iscrizione al Reve, tutti questi problemi si risolvono in un colpo solo. A scapito di utenti e operatori che hanno gli stessi diritti e non vogliono ricorrere a scappatoie o non le conoscono (per ora)

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

L’operatività con terzi salva dall’interposizione la società estera

16 Maggio 2023

Il Sole 24 Ore lunedì 17 aprile 2023 di Marcello Maria De Vito

Necessario dimostrare la piena strumentalità alla controllante italiana

Gli scambi commerciali di entità marginale e l’operatività anche con altri soggetti sono elementi idonei per escludere che una società non residente sia un mero strumento di cui si serve una società residente per erodere la propria base imponibile. Sono questi i principi affermati dalla Corte di giustizia tributaria di I grado di Genova, con la sentenza 07/12/2022 n.1063, (presidente Picozzi, relatore Galletto).

L’agenzia delle Entrate imputava a una società residente tutte le operazioni effettuate da una società britannica di intermediazione, ritenuta non indipendente e priva di struttura sostanziale. Pertanto, l’Agenzia contestava alla società residente che la società britannica fosse stata utilizzata come strumento per erodere la propria base imponibile in Italia.

Il contribuente ricorreva alla Cgt eccependo la carenza di prova circa l’imputazione alla società residente di tutte le operazioni effettuate dalla società britannica.

Le Entrate evidenziavano che gli amministratori della società residente controllavano la britannica e che dal questionario inviato alla società titolare dei magazzini, in cui risultava depositata la maggior parte della merce compravenduta tra le due società, erano emerse incongruenze prive di spiegazione.

La Corte osserva che dalla documentazione si evince che la società britannica ha effettuato intermediazioni anche con soggetti diversi. Inoltre, gli scambi con la britannica appaiono marginali rispetto alla globalità degli scambi della ricorrente. Al contempo, precisa il collegio, gli elementi portati dall’Agenzia, non sono tali da dimostrare in modo determinante la non operatività e la strumentalità della società britannica alla società residente. La Corte, quindi, accoglie il ricorso compensando le spese.

La fattispecie oggetto di giudizio è da ricondurre all’interposizione disciplinata dall’articolo 37, comma 3, Dpr 600/73, che consente all’ufficio di imputare al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti. Sul punto è intervenuta la Cassazione con la sentenza 1358 del 2023. I giudici hanno precisato che ciò che va verificato è la relazione di fatto tra contribuente e reddito per operare la traslazione del reddito d’impresa prodotto dalla società al soggetto effettivo titolare del reddito. Tale relazione di fatto deve essere caratterizzata, per assumere incidenza, da una particolare pregnanza perché deve essere tale da comportare la traslazione del reddito realizzato dalla società nel suo complesso al soggetto interponente come se il reddito fosse stato prodotto da quest’ultimo. È irrilevante, precisa la Cassazione, la dimostrazione che l’interposizione sia reale o fittizia. Ciò in quanto l’articolo 37, comma 3, si riferisce non solo a qualsiasi ipotesi di interposizione, ma anche all’uso improprio di un legittimo strumento giuridico, come la società.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Lecito l’utilizzo di investigatori per condotte non penalmente rilevanti

16 Maggio 2023

Il Sole 24 Ore 18 aprile 2023 di Ranieri Romani

Per il Tribunale di Roma è vietata solo la verifica della prestazione lavorativa

Con ordinanza del 14 marzo 2023 il Tribunale del Lavoro di Roma è tornato sull’annosa questione dell’utilizzo di agenzie investigative per l’accertamento di fatti disciplinarmente rilevanti nel rapporto di lavoro, dichiarandone la legittimità anche ove abbiano avuto a oggetto la verifica di condotte (illecite) non penalmente rilevanti e a prescindere dal fatto che il datore di lavoro avrebbe potuto accertare la sussistenza delle stesse ricorrendo ad altri strumenti a sua disposizione.

Il caso sottoposto al Giudice trae origine da un licenziamento irrogato a un operaio (responsabile di vari cantieri con mansioni di sorveglianza e controllo) al quale era stata contestata la mancata e irregolare prestazione lavorativa in 18 occasioni nel corso di tre mesi.

In particolare, la Società – mediante il ricorso a un’agenzia investigativa esterna – aveva rilevato il mancato rispetto dell’orario del dipendente, il suo ingiustificato abbandono del posto di lavoro, l’esecuzione in orario di lavoro di attività personali nonchè l’utilizzo di alcuni beni aziendali per scopi privati ed estranei all’attività lavorativa.

Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento eccependo, fra le altre cose, anche l’abusivo ricorso al controllo tramite investigatori privati da parte del datore di lavoro.

Il giudice, nel rigettare integralmente il ricorso, ha affermato che il divieto di ricorrere a controlli tramite agenzie di investigazione privata in capo al datore di lavoro è limitato alla mera verifica dell’adempimento o dell’inadempimento, da parte del lavoratore, della sua prestazione lavorativa (controllo, questo, che spetta esclusivamente al datore e ai suoi collaboratori inseriti nell’organizzazione gerarchica dell’impresa) ben potendo invece lo stesso datore di lavoro eseguire, anche attraverso agenzie esterne, controlli finalizzati a verificare la realizzazione di condotte illecite seppur non penalmente rilevanti (quali sono la falsa attestazione dell’orario da parte del dipendente, il suo allontanamento dal luogo di lavoro per scopi privati o l’utilizzo di beni aziendali per scopi personali). Ciò, purché sussista il sospetto o la mera ipotesi che tali illeciti siano in corso di esecuzione (sospetto, nel caso di specie, giustificato dalla società convenuta con la prova dell’anomala durata dell’apertura dei vari cantieri rientranti nel perimetro di competenza del ricorrente).

L’ordinanza è interessante anche perché pone l’attenzione sulla rilevanza (ai fini della valutazione della legittimità o meno dell’utilizzo di investigatori privati) di altri strumenti che il datore di lavoro avrebbe potuto utilizzare per accertare le condotte illecite del dipendente: in tal senso, il giudice ha ritenuto del tutto irrilevante la teorica possibilità, per il datore di lavoro, di geolocalizzare il proprio dipendente attraverso la traccia informatica dei tablet in dotazione ad alcuni lavoratori sia perché, nel caso di specie, vigeva un accordo sindacale con il quale l’azienda si era impegnata a non utilizzare i tablet a tale scopo, sia perché ciò non avrebbe in ogni caso impedito il legittimo utilizzo delle indagini investigative esterne da parte del datore di lavoro.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Svizzera vicina all’uscita dall’ultima blacklist fiscale

16 Maggio 2023

Il Sole 24 Ore21 aprile 2023 di Alessandro Galimberti e Valerio Vallefuoco

Il ministro Giorgetti e l’omologa elvetica firmano l’intesa preliminare

Per gli italiani residenti oltralpe finirà a breve la «presunzione di evasione»

La Svizzera sta per abbandonare definitivamente anche l’ultimo e ormai scomodo ricordo del paradiso fiscale che fu. Il ministro dell’Economia e finanze Giancarlo Giorgetti e il suo omologo «capo del dipartimento federale» delle finanze della Confederazione, signora Karin Keller-Sutter, hanno firmato ieri una «intesa preliminare» per rimuovere il paese alpino dalla lista del Decreto ministeriale 4 maggio 1999, la cosiddetta black list delle persone fisiche.

Anche se manca ancora il sigillo dell’ufficialità, perché restano da definire dettagli collaterali nei rapporti di vicinato (in particolare la regolamentazione fiscale del telelavoro per i frontalieri italiani) la notizia è molto significativa per le centinaia di migliaia di italiani residenti in Svizzera, soprattutto, ma non solo, in Canton Ticino.

L’inserimento nella lista black list comporta infatti, a fini fiscali, la presunzione di fittizietà del trasferimento di residenza, con inversione dell’onere della prova: spetta quindi al contribuente dimostrare in modo “persuasivo” che il trasferimento non è un mero artificio per aggirare l’obbligazione tributaria in patria. Non solo, la black list raddoppia anche i termini di accertamento per i depositi e gli investimenti effettuati oltre confine, che possono essere investigati fino a dieci anni a ritroso.

L’uscita dalla black list di cui al D.M 4 maggio 1999, comporterà, in primo luogo, l’inapplicabilità della presunzione di evasione dell’articolo 12 c. 2 del decreto legge 78/2009, per i contribuenti con attività nel territorio della Confederazione, nonché l’inapplicabilità del raddoppio delle sanzioni, in quanto norme più sfavorevoli. In secondo luogo, non risulteranno più applicabili le norme che regolano le segnalazioni fiscali, relative ai contribuenti con residenza nei paesi black list, di cui alla Direttiva DAC 6, così come quelle che regolano le segnalazioni di operazioni sospette.

Un discorso a parte merita l’applicabilità o meno del raddoppio dei termini di accertamento per le annualità passate. A questo proposito giova ricordare il recente orientamento della Corte di Cassazione, che, con la sentenza 8653/2022, ha sancito la retroattività dell’articolo 12, c. 2-bis e 2-ter del decreto legge 78/2009 sul raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento, relativo alle attività finanziarie detenute in paesi black .Secondo la Suprema Corte, le norme sul “raddoppio dei termini” si applicano anche per i periodi di imposta precedenti alla loro entrata in vigore (1° luglio 2009). Le indicazioni delle Entrate, così come quelle della Gdf, considerano il raddoppio dei termini di accertamento applicabile per le annualità antecedenti alla fuoriuscita del paese dalla lista di cui al Dm 4 maggio 1999. Tuttavia, seguendo, a contrariis, il ragionamento della Suprema Corte, si potrebbe sostenere che, vista la natura procedimentale delle norme che regolano i termini di accertamento e in conseguenza la loro portata retroattiva, anche il raddoppio dei termini in esame potrebbe retroattivamente ridursi nei termini ordinari. Un’interpretazione di tal tenore sarebbe, inoltre, in linea con il parere della Corte Ue.

Per quanto riguarda invece la parte dell’accordo tra Roma e Berna relativa al telelavoro, la norma transitoria richiesta dall’Italia – retroattiva dal febbraio scorso al prossimo 30 giugno -andrebbe a inserirsi nell’accordo sulla fiscalità dei frontalieri sottoscritto nel 2020, approvato dalle Camere federali un anno fa e che, secondo il ministro Giorgetti, verrà ratificato «nelle prossime settimane» dal Parlamento italiano.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Stop all’uso dei dati biometrici per identificare i lavoratori

11 Aprile 2023

Il Sole 24 Ore lunedì 27 marzo 2023 di Daniele Colombo

Un’ordinanza del Garante esclude la registrazione delle presenze con impronte

Manca una disposizione ad hoc che sia in lineacon la protezione dei dati

L’introduzione di un sistema di timbratura per rilevare le presenze, con terminale biometrico (rilevamento delle impronte digitali), per dipendenti e collaboratori, con lo scopo di registrare l’accesso e la presenza in azienda, è un trattamento illgittimo di dati, perché privo di valida base giuridica, oltre che contrario ai principi di liceità, necessità e proporzionalità. È il principio contenuto nell’ordinanza ingiunzione del 22 novembre del 2022, pronunciata dal Garante della Privacy a conclusione di un procedimento sanzionatorio avviato contro una società, che offre lo spunto per analizzare l’uso di dati biometrici nell’ambito del rapporto di lavoro. Perchè uno specifico trattamento, che ha per oggetto dati biometrici, possa essere lecitamente iniziato, è necessario che lo stesso trovi il proprio fondamento in una disposizione normativa che abbia le caratteristiche richieste dalla disciplina di protezione dei dati, anche in termini di proporzionalità dell’intervento regolatorio rispetto alle finalità che si intendono perseguire.

Che cosa sono i dati biometrici

L’articolo 4 del Gdpr (il regolamento europeo 2016/679) definisce biometrici i «dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quale l’immagine facciale o i dati dattiloscopici».

Il trattamento di dati biometrici (di regola vietato in base all’articolo 9, paragrafo 1 del regolamento), è consentito solo se ricorre una delle condizioni indicate dall’articolo 9, paragrafo 2 del Gdpr e, riguardo ai trattamenti effettuati in ambito lavorativo, solo quando questo sia «necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale, nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri o da un contratto collettivo ai sensi del diritto degli Stati membri, in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato». Queste disposizioni, sono confermate anche dall’articolo 2-septies del Dlgs 101/2018, secondo il quale «i dati genetici, biometrici e relativi alla salute possono essere oggetto di trattamento in presenza di una delle condizioni di cui al paragrafo 2 dell’articolo 9 Gdpr e in conformità alle misure di garanzia disposte dal Garante con apposito provvedimento adottato con cadenza biennale», a oggi ancora in elaborazione. Il datore di lavoro, titolare del trattamento, è, in ogni caso, tenuto a rispettare i principi di «liceità, correttezza e trasparenza», «limitazione delle finalità», «minimizzazione» nonché «integrità e riservatezza» dei dati e «responsabilizzazione» (articolo 5 del Gdpr).

Le condizioni per trattarli

Per poter intraprendere lecitamente un trattamento di dati biometrici, questo deve trovare dunque il proprio fondamento in una disposizione normativa, che deve avere le caratteristiche richieste dalla disciplina sulla protezione dei dati personali, anche dal punto di vista della proporzionalità rispetto alle finalità da perseguire. L’assenza ex lege della tecnologia biometrica per assolvere gli obblighi in materia di lavoro rende illecito il relativo utilizzo. Il trattamento non può trovare un valido presupposto nemmeno nel consenso del lavoratore, data la asimmetria tra le parti.

Il trattamento del dato biometrico, non può essere giustificato dall’interesse legittimo, espressamente vietato dal Gdpr con riferimento ai dati particolari, di cui i dati biometrici fanno parte. Quindi, in assenza di una normativa ad hoc, il Garante della Privacy, in diverse occasioni, ha dichiarato illegittimo l’uso di dati biometrici per rilevare la presenza di dipendenti. Tale trattamento, inoltre, sempre secondo il Garante, è sproporzionato rispetto alle finalità dichiarate, poiché esistono altri strumenti che possono garantire la rilevazione delle presenze. Seguendo questo ordine di idee, si può ritenere che non si possano utilizzare nell’ambito del rapporto di lavoro strumenti quali il riconoscimento vocale, il riconoscimento facciale, i sistemi di body scanner e le scansioni per l’identificazione univoca della persona.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica
Get in touch
x
x

Share to:

Copy link:

Copied to clipboard Copy