Dividendi esteri, il netto frontiera passa dalla banca

8 Luglio 2019

Il Sole 24 Ore 14 GIUGNO 2019 di Marco Piazza

attività finanziarie

La strada per evitare la dichiarazione al lordo in caso di imposta al 26%

La conferma (si veda Il Sole 24 Ore del 31 maggio scorso) che i dividendi esteri soggetti all’imposta secca del 26%, se percepiti senza l’intervento di intermediari finanziari italiani, devono essere dichiarati nel loro importo lordo e non al netto delle imposte subite all’estero (cosiddetto «netto frontiera», previsto dall’articolo 27, comma 4-bis del Dpr 600/1973) ha prodotto una immediata reazione dei contribuenti.

Molti, infatti, per poter subire la tassazione sul «netto frontiera», stanno chiedendo alle banche di intervenire nella riscossione dell’utile anche in relazione a partecipazioni non affidate in custodia o amministrazione alla banca stessa (monitorati nel quadro RW della dichiarazione).

Questa possibilità è ammessa dalla circolare 19/E del 2014, par. 9, secondo la quale i sostituti d’imposta che intervengono nella riscossione dei redditi derivanti da attività finanziarie estere applicano le ritenute alla fonte e le imposte sostitutive «dietro specifico incarico a cura del contribuente». Per l’intervento della banca è sufficiente, quindi, che il contribuente le conferisca l’incarico di operare la ritenuta in sede di percezione del dividendo per conto del cliente.

Poiché, però, l’intermediario ? non avendo mai detenuto le azioni in deposito ? non è in grado di determinare autonomamente il regime fiscale applicabile e l’ammontare imponibile, il contribuente dovrà fornirgli la documentazione necessaria che, in alcuni casi, può essere consistente, data la numerosità dei vincoli e delle condizioni di legge. Infatti, occorre:

accertare che il dividendo non sia ammesso in deduzione dal reddito imponibile dell’emittente (articolo 44, comma 2 lettera a) del Testo unico);

verificare che l’importo percepito non derivi dalla distribuzione di riserve di capitale tenendo conto della presunzione di cui all’articolo 47, comma 1 del Testo unico;

accertare che non sia proveniente da un’entità a fiscalità privilegiata, secondo l’articolo 47-bis del Testo unico tenendo conto del regime transitorio previsto dall’articolo 1, comma 1007 della legge 205 del 2017, della risposta 4) in materia di fiscalità internazionale al Telefisco 2019 e del Principio di diritto 17 del 2019;

nel caso sia proveniente da un’entità a fiscalità privilegiata, accertarsi che sia applicabile l’esimente di cui all’articolo 47, comma 2, lettera b dell’articolo 47-bis (che dalla partecipazione non sia conseguito l’effetto di localizzare i redditi in paesi a fiscalità privilegiata o che l’utile sia formato da redditi già tassati per trasparenza nell’ambito della disciplina Cfc all’articolo 167 del Tuir);

infine, verificare se il dividendo è formato con redditi prodotti fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017, perché in questo caso l’imposta sostitutiva si applica solo se la partecipazione non è qualificata.

Attività, tutte queste, che le banche, di norma strutturate per effettuare operazioni di routine, non sempre riescono ad eseguire.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Sponsor, foto e giornali provano la prestazione

8 Luglio 2019

Il Sole 24 Ore 06 GIUGNO 2019 di Alessandro Borgoglio

La documentazione fotografica e giornalistica attestante la sponsorizzazione di una scuderia di rally automobilistici, unitamente alla contabilità regolare, alla presenza di contratti di sponsorizzazione e bonifici di pagamento sono elementi sufficienti a provare l’effettuazione delle prestazioni e, quindi, a consentire la deducibilità dei relativi costi da parte dello sponsor. Così si è pronunciata la Ctr Emilia-Romagna 627/1/2019(presidente e relatore Lamberti).

A una Srl era stata contestata la deducibilità delle spese di sponsorizzazione di una scuderia automobilistica partecipante a campionati di rally, in quanto le operazioni sottese alle fatture passive sarebbero state inesistenti, quantomeno parzialmente: secondo l’ufficio, infatti, la scuderia aveva emesso fatture gonfiate. Dalle indagini penali nei confronti della scuderia era emerso che uno dei soggetti coinvolti aveva confessato la prassi di preparare «pacchetti di risparmio fiscale» per gli sponsor, con fatture di sponsorizzazione gonfiate e restituzione in contanti di una parte dei bonifici effettuati.

Nonostante ciò, la Ctr ha ritenuto sufficienti i bonifici, la contabilità regolare e gli articoli di giornali e le fotografie esibite dalla Srl, a dimostrazione dell’apposizione del suo marchio sulle vetture della scuderia sponsorizzata, per attestare l’esistenza piena delle operazioni contestate dal Fisco, la deducibilità degli importi fatturati e la detrazione dell’Iva afferente (in senso conforme Ctp di Forlì 277/1/2013 e Ctp Treviso 38/4/13).

Invero, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, in caso di contestazione di operazioni inesistenti, grava sul contribuente la prova contraria, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (ex pluris, Cassazione 11155/2019 e 9588/2019; Ctr L’Aquila 151/6/2019).

L’ufficio, inoltre, aveva anche contestato la sovrafatturazione sulla base dell’inverosimiglianza delle sponsorizzazioni effettuate (40mila-80mila euro) in rapporto agli utili della Srl (9mila-14mila euro), il che evidentemente rendeva antieconomica la gestione aziendale. Secondo il collegio di merito, tale antieconomicità avrebbe dovuto essere sorretta da ulteriori elementi probatori, nella specie insussistenti.

Anche questa conclusione, però, si contrappone nettamente alla consolidata giurisprudenza di legittimità, per cui è sufficiente la contestazione di antieconomicità per far scattare il ribaltamento dell’onere della prova sul contribuente, senza che siano necessari ulteriori elementi (ex pluris, Cassazione 8845/2019, 43/2019, 16635/2018).

Infine, il Fisco aveva anche contestato la mancanza di inerenza, atteso che la Srl sponsor non operava nel settore automobilistico e non avrebbe ricevuto nessun vantaggio economico dalla sponsorizzazione della scuderia di rally. Anche questa eccezione è stata bocciata dai giudici di merito; eppure la Cassazione ha ripetutamente stabilito che, qualora non vi sia alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in essere dallo sponsor, le spese di sponsorizzazione non possono considerarsi di pubblicità ed essere dedotte secondo la relativa disciplina (si vedano Cassazione 20154/2016, 3433/2012 e 25100/2014; Ctp Milano 3819/47/15).

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Il Cda fuori dall’Italia esclude l’esterovestizione

11 Giugno 2019

Il Sole 24 Ore 29 MAGGIO 2019 di Laura Ambrosi

HOLDING

Conta la disponibilità di locali per gestione e amministrazione

I consigli di amministrazione e le assemblee dei soci tenute in territorio estero, dove la società dispone materialmente di locali necessari per la gestione di partecipazioni, escludono la residenza in Italia della holding estera, ed impongono un’approfondita valutazione dei giudici di merito prima di ritenere sussistente un’ipotesi di esterovestizione.

A fornire queste indicazioni è la Cassazione con la sentenza 14527 depositata ieri. Ad una holding olandese veniva negato il rimborso delle ritenute operate in Italia in sede di distribuzione di dividendi da parte dalla propria controllata. L’agenzia delle Entrate, infatti, a seguito di un controllo sostanziale riteneva che la società olandese fosse stata fittiziamente costituita in Olanda allo scopo di beneficiare del regime agevolato di tassazione dei dividendi previsto dalla Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizioni e del regime di esenzione dei dividendi delle imposte vigente in Olanda.

L’impresa, pertanto, non possedeva i requisiti per ottenere il rimborso delle ritenute sui dividendi. L’ufficio emetteva conseguentemente provvedimento di diniego dell’esenzione con richiesta di restituzione del rimborso delle ritenute. La società impugnava l’atto davanti alla Commissione tributaria provinciale, che accoglieva il gravame per intervenuta decadenza del potere di recupero dell’ufficio. L’agenzia appellava la decisione di primo grado. I giudici di appello ritenevano innanzitutto tempestiva la pretesa dell’ufficio e poi affermavano la fondatezza della tesi dell’effettiva residenza in Italia della società olandese.

In particolare, evidenziavano che dalle indagini svolte era emersa la residenza in Italia e nel Regno Unito degli amministratori della società estera. Essa, inoltre, non svolgeva alcuna attività economica e non aveva la sede di direzione effettiva in Olanda. A questo scopo, non risultava sufficiente che la società fosse stata costituita secondo le leggi di uno Stato estero.

La contribuente ricorreva per cassazione lamentando, tra l’altro, l’insufficiente motivazione in ordine all’asserita esterovestizione della società, trascurando gli elementi contrari forniti dalla difesa. La Cassazione ha accolto il ricorso, rilevando che i giudici di appello si siano limitati a sostenere l’effettiva sede in Italia sulla base della residenza nel nostro Paese e nel Regno Unito degli amministratori e sull’attività svolta dalla società, consistente nella mera gestione di pacchetti azionari.

Secondo la Corte, la residenza italiana o inglese degli amministratori della holding non è di per sé sintomatica dell’ubicazione della sede dell’amministrazione effettiva in Italia più di quanto non lo sia l’ubicazione della sede amministrativa effettiva in territorio inglese. Inoltre, lo svolgimento della mera attività di gestione dei pacchetti azionari è connaturata alla natura di holding della società,

La sentenza rileva così che i giudici di secondo grado non hanno esaminato le allegazioni difensive in ordine all’effettiva amministrazione in Olanda della società, dove peraltro avevano luogo sia i consigli di amministrazione, sia le assemblee dei soci. Inoltre nei Paesi Bassi la società aveva la materiale disponibilità dei locali necessari per lo svolgimento dell’attività di amministrazione e gestione. Da qui l’accoglimento del ricorso e il rinvio per un nuovo giudizio alla Ctr.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Perdite da realizzo subito deducibili se il credito viene cancellato dal bilancio

11 Giugno 2019

Il Sole 24 Ore 25 MAGGIO 2019 di Riccardo Giorgetti
FORUM DICHIARAZIONI24

Gli elementi certi e precisi imposti dal Tuir non sono necessari in questi casi

L’intervento sul rendiconto vale come presunzione di sussistenza dei requisiti

Una società in nome collettivo ha pattuito una fornitura di divise sportive con un proprio cliente. La merce è stata regolarmente consegnata e accettata nel mese di settembre 2017 per 45mila euro di importo con pagamento rateale concordato in quote di 5mila al mese per nove mesi.

Le prime cinque rate sono state pagate. Poi è subentrato il mancato pagamento e c’è stato un contenzioso risolto in via transattiva stragiudiziale il 30 settembre 2018, con ultimo pagamento di 7.500 euro. I restanti 12.500 euro sono deducibili in quanto perdita su crediti?

Le perdite da realizzo sono immediatamente deducibili se il credito irrecuperabile viene cancellato dal bilancio in base ai corretti principi contabili. In questi casi i requisiti richiesti dalla normativa fiscale sussistono ex lege senza necessità di ulteriori prove.

Gli elementi certi e precisi

L’articolo 101, comma 5, del Tuir dispone, come regola generale, che le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi. Di conseguenza, l’impresa che intende dedurre l’onere deve, in generale, fornire la prova della definitività della perdita tramite documentazione che comprova la irrimediabilità del pagamento. Prova che sussiste, ad esempio, nel caso in cui il cliente è assoggettato a procedure concorsuali, ovvero il credito è di modesta entità (fino a 2.500/5mila euro a seconda della dimensione dell’impresa) e siano trascorsi almeno sei mesi dalla scadenza del pagamento previsto. Tuttavia, con riferimento alle perdite da realizzo, la normativa è venuta incontro alle esigenze del contribuente riconoscendo una presunzione di sussistenza dei requisiti richiesti senza la necessità di fornire specifiche dimostrazioni al realizzarsi di determinate condizioni. Ci si riferisce all’ultimo paragrafo dell’articolo 101, comma 5 del Tuir che stabilisce, per tutti i soggetti (Ias e Oic adopter), che «gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili». Sul punto l’Oic 15 evidenzia come le imprese possano cancellare il credito dal bilancio quando:

a) i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito si estinguono (parzialmente o totalmente);

b) o quando la titolarità dei diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito è trasferita e con essa sono trasferiti sostanzialmente tutti i rischi inerenti il credito.

Quanto al primo punto, i diritti contrattuali possono estinguersi per pagamento, prescrizione, transazione, rinuncia al credito, rettifiche di fatturazione e ogni altro evento che fa venire meno il diritto a esigere determinati ammontari di disponibilità liquide, o beni/servizi di valore equivalente, da clienti o da altri soggetti (circolare 14/E/14).

In via transattiva

Di conseguenza, l’impresa del quesito ha risolto, in via transattiva, il contenzioso relativo al credito pari a 20mila euro stabilendo un pagamento parziale per euro 7.500. Ne discende che se la parte non corrisposta (euro 12.500) è stata cancellata dal bilancio a seguito della transazione pattuita, lo stralcio fatto a livello di bilancio in base ai principi contabili assumerà valore anche ai fini fiscali. Quanto al trasferimento dei diritti contrattuali e dei relativi rischi ciò si realizza nel caso di forfaiting dal datio in solutum dal conferimento del credito, dalla vendita del credito compreso il factoring con cessione pro-soluto.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

San Marino, l’e-fattura dribbla l’esterometro

11 Giugno 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 13 MAGGIO 2019 di Giampaolo Giuliani

IVA E DECRETO CRESCITA

Uno per uno i casi in cui si può evitare l’onere a legislazione attuale

L’obbligo di fatturazione elettronica prevede eccezioni per i «piccoli»

Debutta l’obbligo di fattura elettronica per l’import-export di beni tra l’Italia e la Repubblica di San Marino. Con l’articolo 12 del Dl 34 del 30 aprile 2019 – il decreto crescita – l’esecutivo infatti modifica la relativa disciplina Iva, rinviando a un futuro decreto che il Mef dovrà predisporre in base ad accordi con l’amministrazione sammarinese, e a regole tecniche che dovrà emanare il direttore dell’Agenzia.

L’obbligo di e-fattura non riguarderà però tutte le transazioni. Oltre all’esclusione prevista dall’articolo 12 per gli operatori italiani cosiddetti minori o che operano in franchigia d’imposta, resteranno fuori tutte le transazioni che non trovano puntuale riferimento nel Dm del 24 dicembre 1993. E, inoltre, le prestazioni di servizi, che non sono disciplinate dal decreto e per le quali valgono i principi di carattere generale che consentono ma non obbligano all’emissione della e-fattura. L’uso delle e-fatture dovrebbe dunque sovrapporsi alle attuali procedure che rimarrebbero operative per i soggetti esclusi, seppure con le necessarie modifiche.

Le norme attuali

In attesa di conoscere le soluzioni tecniche future serve fare il punto sull’attuale normativa, poiché in questa prima fase di applicazione della fatturazione elettronica e dell’invio dei dati transfrontalieri, previsto dall’articolo 1, comma 3-bis, del Dlgs 127 del 2015 e comunemente denominato “esterometro”, sono molti i dubbi su cui è importante mettere dei punti fermi.

La Repubblica di San Marino non aderisce alla Ue, per cui va considerato un Paese extracomunitario anche se ha siglato un accordo di cooperazione e unione doganale con la Ue. Il fatto di essere un piccolo Paese interamente confinante con lo Stato italiano e privo di barriere doganali, tuttavia, è sfociato a suo tempo nella predisposizione del Dm 24 dicembre 1993 che adotta gli stessi principi che regolano i rapporti di interscambio tra i Paesi Ue relativo però soltanto alle cessioni e agli acquisti di beni e non alle prestazioni di servizi regolate, invece, dalle previsioni relative agli Stati e territori extracomunitari, quali ad esempio Svizzera o Norvegia.

Vediamo come devono procedere gli operatori e quali vie si presentano loro per evitare l’incombenza dell’esterometro.

Le cessioni

Nelle cessioni a operatori sammarinesi va emessa in ogni caso la fattura cartacea a nulla influendo che il cedente italiano intenda emettere quella elettronica. Infatti, il regime della non imponibilità Iva è a tutt’oggi vincolato alla successiva ricezione da parte del cedente della propria fattura munita di un visto dell’Ufficio tributario sammarinese che in questo modo attesta l’avvenuta introduzione della merce in San Marino. Se il cedente italiano vuole emettere anche la fattura elettronica – che è una possibilità e non un obbligo – nel codice destinatario dovranno essere emesse sette «X». Così l’operazione potrà non essere indicata nell’esterometro.

Per gli acconti, invece, le fatture cartacee emesse non devono essere vistate dall’Ufficio tributario. Infatti il visto deve essere apposto solo sulla fattura di saldo in cui sono richiamati anche quelle relative agli acconti. L’uso della fattura cartacea per l’acconto può essere sostituita dalla fattura elettronica che evita anche l’esterometro.

Va emessa la fattura in formato cartaceo anche nelle vendite nei confronti di privati residenti a San Marino. In questa ipotesi l’operazione è sempre imponibile Iva, salvo specifiche deroghe previste per i mezzi di trasporto nuovi e per le cosiddette vendite a distanza. Il cedente può comunque emettere una fattura elettronica con sette «X» escludendo così l’operazione dall’esterometro.

Le importazioni

Per le importazioni di beni per acquisti effettuati da soggetti passivi italiani da operatori sammarinesi non si può evitare l’esterometro anche nel caso in cui l’acquirente italiano intenda assolvere l’imposta inviando allo Sdi un documento elettronico realizzato sulla base della fattura ricevuta dal fornitore sammarinese munita del visto dell’Ufficio tributario di San Marino. Peraltro questo iter non è consentito per gli acquisti effettuati mediante le cosiddette fatture con Iva prepagata le quali, se munite dei timbri dell’Ufficio tributario e dell’agenzia delle Entrate della provincia di Pesaro, sono in tutto parificate a fatture emesse da operatori italiani.

Relativamente agli acconti pagati dall’acquirente italiano nei confronti del proprio fornitore sammarinese, si rileva come questa operazione sia ai fini Iva del tutto ininfluente posto che il presupposto impositivo si verifica solo nel momento in cui il bene viene introdotto nel territorio dello Stato italiano. Non solo, l’obbligo di assolvimento dell’imposta da parte dell’acquirente sorge soltanto quando quest’ultimo riceve la fattura in originale da parte del cedente sammarinese che sia munita del visto apposto dall’Ufficio tributario.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Nel leasing l’utilizzatore deve pagare il bollo auto

11 Giugno 2019

Il Sole 24 Ore 17 MAGGIO 2019 di Giacomo Albano

CASSAZIONE

Responsabilità solidale esclusa anche prima del 15 giugno 2016

Per i veicoli concessi in locazione finanziaria l’unico soggetto tenuto al pagamento della tassa automobilistica regionale è il soggetto utilizzatore, anche per i rapporti anteriori al 15 giugno 2016. Non è quindi configurabile alcuna responsabilità solidale della società di leasing in caso di mancato pagamento. È quanto stabilito dalla Cassazione che, con quattro sentenza identiche (13131, 13132, 13133 e 13135, tutte depositate ieri), scrive la parola fine a un contenzioso tra regioni e società di leasing che va avanti ormai da dieci anni a colpi di sentenze e modifiche normative.

Oggetto della questione è l’individuazione del soggetto passivo della tassa automobilistica per gli autoveicoli concessi in leasing. La controversia trae origine dalla legge 99/2009, che aveva rivisto gli obbligati al tributo regionale: prima del 15 agosto 2009 (data di entrata in vigore della norma), infatti, la normativa sulla tassa automobilistica prevedeva quale unico soggetto passivo il “proprietario” del bene (articolo 5 del Dl 953/82) e, quindi, per i veicoli concessi in leasing il soggetto tenuto al pagamento era la società di leasing, proprietaria del bene. La legge 99 del 2009 ha invece previsto che al pagamento della tassa automobilistica sono tenuti coloro che «risultano essere proprietari, usufruttuari, acquirenti con patto di riservato dominio, ovvero utilizzatori a titolo di locazione finanziaria».

Nonostante la modifica normativa avesse la finalità di imporre il pagamento della tassa esclusivamente ai soggetti utilizzatori, alcune Regioni (in testa la Lombardia) hanno continuato a chiedere alle società di leasing il pagamento dell’imposta sui veicoli in leasing, argomentando che il prelievo potesse avvenire indifferentemente sia in capo al concedente che all’utilizzatore in quanto solidalmente obbligati.

Per dirimere il contenzioso scaturito da tale lettura, era intervenuta una norma di interpretazione autentica (Dl 78/2015) che chiariva in modo inequivocabile che per i veicoli concessi in leasing, dal 15 agosto 2009, l’unico soggetto tenuto al pagamento della tassa è l’utilizzatore.

Poi è intervenuto il Dl 113/2016 (Dl Enti locali), che ha abrogato la norma interpretativa, stabilendo, contestualmente, una regola identica a quella abrogata – ovvero la responsabilità esclusiva dell’utilizzatore – dal 1° gennaio 2016.

L’abrogazione della norma interpretativa era stata letta dalle Regioni come volontà del legislatore di sostituire – con effetti retroattivi – la regola abrogata con una regola opposta, ovvero la responsabilità solidale del concedente nel pagamento della tassa. La Suprema corte, con le sentenze in commento, evidenzia tuttavia l’irrazionalità di una simile lettura, che peraltro si porrebbe in contrasto con lo Statuto del contribuente. Pertanto, l’evoluzione della normativa va letta come volontà del legislatore di ribadire il senso della disciplina fissata originariamente dalla legge 99/2009, ovvero che per i veicoli concessi in leasing l’unico soggetto passivo della tassa automobilistica è il soggetto utilizzatore.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Exit tax non solo sui cambi di residenza delle imprese

11 Giugno 2019

Il Sole 24 Ore 22 MAGGIO 2019 di Marco Piazza

STABILI ORGANIZZAZIONI

Tassa dovuta anche per spostamenti in caso di fusioni e scissioni

Fanno eccezione i trasferimenti di aziende in neutralità fiscale

L’imposizione in uscita (exit tax) delle plusvalenze latenti nel momento in cui un’impresa residente o una stabile organizzazione di impresa non residente trasferisce all’estero, senza corrispettivo, aziende o rami d’azienda o singoli beni d’impresa, trova una sua organica disciplina nel nuovo articolo 166 del Testo unico, di attuazione dell’articolo 5 della direttiva 2016/1164.

La norma, ora, non riguarda più solo il trasferimento all’estero della residenza della società, ma anche:

gli eventuali trasferimenti di attività in occasione di fusione o scissione di una società residente in Italia in una società non residente o di conferimento di una stabile organizzazione all’estero a società non residente;

i trasferimenti di attivi a una stabile organizzazione all’estero in regime di «branch exemption» (ex articolo 168-ter del Testo unico);

i trasferimenti all’estero di attivi di una stabile organizzazione in Italia oppure dell’intera stabile organizzazione.

Sono però effettuati in regime di neutralità fiscale (ex articolo 179 del Tuir):

i trasferimenti di attivi, aziende e rami d’azienda che, in occasione di operazioni di fusioni e scissione fra società Ue non appartenenti a uno stesso Stato, confluiscono in una stabile organizzazione in Italia (già esistente o neo costituita) di una beneficiaria residente nella Ue o in una società residente in Italia;

i trasferimenti di aziende e rami d’azienda che, in occasione di operazioni di conferimento fra società Ue non appartenenti a uno stesso Stato, confluiscono in una stabile organizzazione in Italia (già esistente o neo costituita) di una beneficiaria residente nella Ue o in una società residente in Italia.

Peraltro, la neutralità dei trasferimenti di attivi riguarda anche:

le fusioni e scissioni non disciplinate dall’articolo 179 (fra società residenti in uno stesso Stato Ue o con beneficiaria extraUe) sempreché, secondo la legge regolatrice dell’operazione, il beneficiario «succeda a titolo universale» nella titolarità dei diritti e degli obblighi già facenti capo alla società fusa o scissa e, gli attivi confluiscano in una stabile organizzazione in Italia della società beneficiaria (articoli 172 e 173 del Tuir e Dre Emilia Romagna, 21 febbraio 2000, n. 8996; Assonime, circolare 51 del 2008, paragrafo 32; risoluzioni 42 e 470 del 2008)

trasferimenti di aziende o rami d’azienda in occasione di conferimenti non disciplinati dall’articolo 179 (fra società residenti in uno stesso Stato Ue oppure alcuna delle quali sia extraUe) sempreché il conferimento abbia ad oggetto aziende situate in Italia (articolo 176 del Tuir).

Il caso di trasferimento di una stabile organizzazione all’estero da una società residente a una società non residente che avvenga nell’ambito di un trasferimento di residenza all’estero o di una fusione, scissione o conferimento presenta una particolarità: se la beneficiaria risiede nella Ue e anche la stabile organizzazione si trova nella Ue, il dante causa, pur essendo soggetto all’imposizione in uscita, beneficia del cosiddetto notional tax credit di cui all’articolo 179, commi 3 e 5, del Testo unico (interpello 73 del 2018 conforme alla sentenza della Corte di giustizia Ue C-292/16). Il notional tax credit non spetta, invece, quando la stabile organizzazione non si trovi nella Ue o sia trasferita a un soggetto extraUe (Assonime, circolare 51 del 2008, paragrafi 1.3.3 e 2.4).

Nel caso in cui – nell’ambito di una fusione, scissione o conferimento – una stabile organizzazione all’estero venga trasferita da una società residente a altra società residente, la neutralità del trasferimento è assicurata dagli articoli 172, 173 e 176 del Testo unico che si applicano a prescindere dalla localizzazione dell’azienda (Assonime, circolare 51 del 2008, paragrafo 1.3.3).

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Crolla l’appeal per i capitali esteri

11 Giugno 2019

Il Sole 24 Ore 11 MAGGIO 2019 di Morya Longo

l’indice aibe-censis

Per il 60% degli investitori l’Italia nel corso del 2018 è diventata meno attraente

L’asfissiante peso della burocrazia e dell’apparato normativo. I tempi biblici della giustizia civile. L’efficacia dell’azione di Governo. Per gli investitori internazionali – ascoltati dall’Aibe con il Censis – sono soprattutto questi nodi a rendere l’Italia poco “sexy”, ai loro occhi, per gli investimenti industriali. Così poco da relegare il Paese all’ottavo posto tra le maggiori economie mondiali per la capacità di attirare gli investitori. Dopo la Spagna, meglio solo di Brasile e Russia. «Il Paese è poco attraente per chi vuole fare investimenti perché ha problemi strutturali che lo penalizzano», osserva il presidente dell’Associazione italiana banche estere, Guido Rosa. «Problemi che l’Italia si trascina da anni». Problemi che andrebbero affrontati.

Mentre in tanti guardano ai mercati finanziari e allo spread tra BTp e Bund per misurare l’opinione che gli investitori hanno dell’Italia, l’Aibe Index è andato a censire uno «spread» ancora più importante: quello degli investimenti industriali. Quello che spinge le industrie estere ad aprire uno stabilimento, un ufficio o un sito produttivo in un Paese piuttosto che in un altro. Ebbene: l’Italia, tra i principali Paesi del mondo, è quasi il fanalino di coda. L’indicatore di attrattività Aibe-Censis è infatti sceso quest’anno a 42,9 (su una scala che va da zero a 100), rispetto a 43,3 del 2018. Se si confronta il sondaggio di quest’anno con quello del 2018, si scopre infatti che diminuisce dal 31% al 6,3% la percentuale di investitori industriali che ritiene più attraente l’Italia, mentre aumenta in maniera clamorosa (dal 16,7% al 60,4%) la percentuale di chi ritiene che il Paese sia diventato meno attraente.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Piattaforme digitali: da luglio solo invio dati, soggetti passivi dal 2021

8 Maggio 2019

Il Sole 24 Ore 25 APRILE 2019 di  Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

vendite a distanza

Entro luglio 2019 primo invio dei dati relativi a ciascun fornitore da parte delle piattaforme digitali, comprese le informazioni delle vendite a distanza di telefoni cellulari, console da gioco, tablet pc e laptop; contestuale differimento al 1° gennaio 2021 del ruolo di soggetti passivi di imposta per i “marketplace” in concomitanza con l’avvio della operatività della direttiva 2017/2455/Ue; obbligo di fatturazione elettronica anche nei rapporti commerciali con San Marino: queste alcune delle misure di contrasto all’evasione e di semplificazione per i contribuenti contenute nel Dl crescita approvato dal Consiglio dei ministri.

Considerata la necessità di procedere al completo recepimento della direttiva 2017/45 sulle vendite a distanza, è stata differita al 1° gennaio 2021 l’efficacia delle previsioni di cui all’articolo 11-bis del Dl semplificazioni 135/18, con cui è stato attribuito il ruolo di soggetti passivi d’imposta alle piattaforme digitali che vendono cellulari, tablet, pc e console. Tuttavia, per favorire l’emersione della base imponibile Iva, con il Dl crescita in capo a tutte le piattaforme digitali, a prescindere dalla tipologia di beni ceduti, sono stati imposti obblighi di natura informativa. Infatti, entro il mese successivo a ogni trimestre i soggetti passivi marketplace che facilitano, attraverso piattaforme digitali, le vendite a distanza di beni importati o di beni già all’interno della Ue dovranno trasmettere, secondo le modalità che verranno individuate con provvedimento direttoriale delle Entrate, una serie di dati per ciascun fornitore, e in particolare denominazione, residenza, domicilio e indirizzo di posta elettronica, numero totale di unità vendute in Italia e, a scelta dell’obbligato, l’ammontare totale dei prezzi di vendita ovvero il prezzo medio delle unità cedute nel territorio nazionale. Il primo invio dei dati deve essere effettuato a luglio 2019. Il soggetto passivo che non trasmette i dati o lo fa in maniera incompleta sarà responsabile dell’imposta dovuta a meno che non dimostri che la stessa è stata assolta dal fornitore. Sempre entro luglio 2019 i marketplace dovranno trasmettere gli stessi dati per le transazioni relative a tablet, pc e console realizzate tra il 13 febbraio 2019, data di conversione del Dl 135/18, e la data di entrata in vigore del Dl crescita.

Semplificazione degli adempimenti certificativi, sia per le operazioni attive che per quelle passive, per gli operatori economici italiani che hanno rapporti commerciali con San Marino, attraverso la previsione dell’obbligo di fatturazione elettronica analogamente a quanto già previsto per le operazioni realizzate con soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato italiano e con le medesime esclusioni soggettive e oggettive.

Questa misura richiede la modifica del Dm del 24 dicembre 1993 il quale disciplina ai fini Iva i rapporti di scambio tra i due Paesi imponendo, tra gli altri, l’emissione di una fattura cartacea in quattro esemplari nei confronti di operatori aventi sede, residenza o domicilio a San Marino. Le modifiche al Dm saranno adottate in attuazione di un accordo tra i due Stati e le relative specifiche tecniche verranno individuate con provvedimento direttoriale delle Entrate.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Il sindaco percepisce compensi non votati: è omessa vigilanza

8 Maggio 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 8 APRILE 2019 Claudio Ceradini

ORGANI DI CONTROLLO

Serve una delibera ad hoc che può anche riferirsi alle tariffe professionali

La percezione di compensi non deliberati da parte dell’assemblea dei soci costituisce per il collegio sindacale violazione dell’obbligo di vigilanza. È quanto emerge dalla sentenza della corte d’appello di Milano 944/2019, pubblicata il 1° marzo scorso. La vicenda interessa l’organo di controllo di società quotata, e riguarda quindi le disposizioni del Dlgs 58/1998 (Tuf), ma di fatto la Corte d’appello propone un’interpretazione applicabile anche alle società soggette unicamente al Codice civile.
Tutto inizia nel 2014, quando la Consob sanziona con propria delibera la condotta del collegio sindacale, che avrebbe omesso di vigilare sulla osservanza della legge e dello statuto, per aver trascurato di verificare che l’adeguamento del proprio compenso fosse correttamente deliberato dall’assemblea. Nel concreto il collegio sindacale aveva beneficiato di un incremento del compenso sulla base di un (contestato) riferimento alle tariffe professionali contenuto nella originaria delibera assembleare, che secondo la Consob non rispettava l’articolo 2402 del Codice civile. La Corte d’appello di Milano inizialmente accoglie le eccezioni procedurali dei sindaci. Ricorre la Consob e la Cassazione rinvia (sentenza 9254/18) l’esame alla Corte d’appello, che sposa nel merito le tesi di Consob: proprio per salvaguardare la sua indipendenza e terzietà il collegio sindacale avrebbe dovuto pretendere che l’assemblea assumesse una specifica delibera di rideterminazione del compenso.
Dalla lettura della sentenza non si desume l’inadeguatezza in senso assoluto del riferimento alle tariffe professionali, cosicché la delibera ben avrebbe potuto ancorarvi la determinazione dei compensi, a patto però che vi trovassero adeguato dettaglio le modalità di calcolo, anche per successivi adeguamenti.
Secondo la Corte d’appello non rileva il fatto che l’assemblea o l’organo amministrativo abbiano indirettamente preso atto dell’aumento, approvando documenti inclusivi a vario titolo del riferimento al maggior compenso, come la relazione sulla remunerazione: sarebbe servita invece una precisa, puntuale ed esplicita presa di posizione, che lo stesso collegio sindacale avrebbe dovuto pretendere.
Viceversa, il collegio sindacale che in presenza di elementi di incertezza sui contenuti o sulla concreta applicazione della delibera, provveda autonomamente ad adeguare i propri compensi, non può dedurre dal comportamento inerte o ricettivo della società l’adempimento dell’articolo 2402 del Codice civile.
La condotta dei sindaci, per non essere contraddistinta da colpa, deve quindi prevedere il ricorso a tutti i poteri che la legge riconosce loro, tra cui la richiesta di chiarimenti all’organo amministrativo o di inclusione nell’ordine del giorno dell’assemblea della precisazione della misura del proprio compenso. In difetto, la determinazione autonoma costituisce violazione colposa dell’obbligo di vigilanza sull’osservanza delle legge e dello statuto, suscettibile di generare in capo ai sindaci la responsabilità corrispondente al danno causato, specie in condizione di crisi aziendale e conseguente accesso ad uno degli strumenti di relativa soluzione.

 

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica
Get in touch
x
x

Share to:

Copy link:

Copied to clipboard Copy