Residenza fiscale, interessi economici esclusi dal nuovo criterio di domicilio

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore lunedì 12 febbraio 2024 di Stefano Vignoli

Ai tre principi alternativi si aggiunge la presenza nel territorio dello Stato

Le modifiche del decreto legislativo 209 all’articolo 2 del Tuir in vigore dal 2024

Il decreto legislativo 209/2023 ridisegna – con decorrenza 1° gennaio 2024 – la nozione di residenza fiscale in Italia, modificando l’articolo 2, comma 2, del Tuir e raccogliendo, ma solo in parte, l’invito della legge delega 111/2023 ad applicare le best practice della prassi internazionale.

L’individuazione della residenza fiscale è importante perché determina l’assoggettamento a imposte nel nostro Paese, oltre che dei redditi prodotti (e del patrimonio detenuto) in Italia in base al principio di territorialità, anche di quelli prodotti all’estero, in ossequio al worldwide principle taxation (articolo 3, Tuir).

Tra conferme e novità

Procediamo con ordine, partendo da cosa non è cambiato: in primis la verifica dei criteri alternativi di residenza, che deve essere effettuata per la maggior parte del periodo di imposta (almeno 183 giorni, 184 negli anni bisestili) escludendo quindi l’applicazione dello split year , ovvero la possibilità di essere residenti soltanto per una frazione d’anno come avviene in altri Paesi.

Per quel che riguarda le novità, ai tre criteri alternativi della residenza, dell’iscrizione in anagrafe nazionale e del domicilio, se ne aggiunge un quarto: quello della presenza nel territorio dello Stato sufficiente a determinare la residenza in Italia quando ricorre per la maggior parte dell’anno, computando anche le frazioni di giorno. Dal 2024 rischiano pertanto di essere attratti a tassazione anche studenti e turisti di lunga durata.

I criteri e le modifiche

Non si rilevano modifiche al criterio della residenza, per il quale occorre riferirsi al Codice civile e quindi alla dimora abituale.

Perde rilevanza l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente (e, in parallelo, all’Aire), che non costituisce più presunzione assoluta di residenza ma ammette prova contraria. Il nostro Paese si avvicina così alla migliore prassi internazionale, considerata la diffusa irrilevanza dei requisiti formali in altri ordinamenti, e consolida un orientamento del legislatore già manifestatosi in sede di accesso ai regimi di favore per impatriati, ricercatori e professori.

Varia anche la definizione di domicilio, da intendersi quale «luogo in cui si sviluppano in via principale le relazioni personali e familiari della persona». Una nozione che si distanzia da quella civilistica (e convenzionale) individuata dall’articolo 43 («sede principale dei suoi affari e interessi»), che faceva riferimento anche agli interessi economici.

Nel “nuovo” domicilio gli interessi economici perdono invece di rilevanza, con il duplice rischio di aumentare le difficoltà a determinare la residenza (è più semplice individuare il luogo dove sono collocati gli interessi economici rispetto a quelli personali) e di agevolare il trasferimento all’estero dei contribuenti più facoltosi.

Premesso che non sono state introdotte modifiche ai trasferimenti in Paesi black list (elenco dal quale è appena uscita la Svizzera), per i quali è prevista l’inversione dell’onere della prova a carico del cittadino italiano, sarà più semplice, ad esempio, lasciare la residenza italiana per quella del Principato di Monaco (Paese black list) da parte dell’imprenditore che si trasferisce con la famiglia conservando rilevanti interessi economici e patrimoniali in Italia: il nuovo concetto di domicilio richiede infatti di verificare “soltanto” il luogo degli interessi personali e familiari.

Le doppie residenze

In base al nuovo criterio della presenza dovrebbero aumentare le persone potenzialmente residenti in Italia. Ma trattandosi spesso di persone che risultano residenti anche in un altro Paese legato da convenzione con l’Italia, il conflitto di doppia residenza andrà risolto in base alle tie breaker rules individuate dalla norma pattizia che prevale rispetto al Tuir (lex specialis derogat generali).

Le convenzioni stipulate dall’Italia – conformi all’articolo 4 del modello Ocse – attribuiscono la residenza a uno solo dei due Paesi firmatari, seguendo l’ordine gerarchico del Paese dove la persona ha 1 l’abitazione permanente, 2 il centro degli interessi vitali, 3 il soggiorno abituale e 4 la nazionalità, salvo la remota possibilità di 5 dover attivare una procedura amichevole quando nessuno dei quattro criteri permette di individuare il Paese di residenza.

La nuova residenza entra in vigore dal 2024; fino al 2023 sarà pertanto necessario riferirsi al previgente testo dell’articolo 2 del Tuir.

Da segnalare, infine, che il decreto delegato sulla fiscalità internazionale dimentica di individuare le regole di determinazione della residenza in materia di imposta di successione e donazione, la cui disciplina resta orfana di una propria definizione, dovendo pertanto riferirsi all’articolo 43 del Codice civile (dimora abituale)

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L’azienda paga quando a sbagliare è la chatbot

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore 22 febbraio 2024 di Giusella Finocchiaro

INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Alla domanda ricorrente sulla responsabilità per gli errori commessi da un’applicazione di intelligenza artificiale risponde in modo semplice e lineare una recentissima sentenza canadese: Moffatt v. Air Canada, 2024 Bccrt 149, del 14 febbraio 2024, appena pubblicata. E la risposta si potrebbe riassumere limitandosi a citare il noto brocardo: «cuius commoda, eius et incommoda» (chi trae vantaggi da una situazione, deve sopportarne anche gli svantaggi). Un brocardo latino, dunque, risolve un problema creato dall’intelligenza artificiale.

Si tratta di una sentenza limpida, su una questione di limitata rilevanza economica, come spesso accade per i leading cases, ma che offre molti spunti di riflessione. Al centro, l’errore commesso da una chatbot, cioè da un software che, utilizzando l’intelligenza artificiale, formula risposte alle domande poste, simulando che si stia conversando con un essere umano.

La vicenda è molto semplice. Il signor Moffatt, a causa della perdita della nonna, deve acquistare un biglietto aereo. Air Canada propone tariffe scontate in caso di viaggio causato da un lutto. Moffatt interroga la chatbot di Air Canada che lo informa che lo sconto può essere chiesto anche dopo il viaggio, entro 90 giorni. Così fa il Sig. Moffatt, scoprendo poi, però, dopo alcune interlocuzioni con gli impiegati (umani) di Air Canada, che lo sconto avrebbe dovuto essere chiesto prima e che non può essere applicato retroattivamente.

Moffatt agisce in giudizio e richiede il risarcimento. Air Canada si difende argomentando che la responsabilità è della chatbot. Il giudice con un ragionamento molto lineare afferma che, benché la chatbot sia interattiva, tuttavia è sempre parte del sito di Air Canada e che ovviamente Air Canada è responsabile di tutte le informazioni che sono nel suo sito, che siano statiche o interattive. Non c’è ragione per cui, come argomenta ancora la compagnia, il cliente debba effettuare un

double check rispetto alle informazioni rese attraverso il sito o la chatbot.

Dunque il giudice Rivers non affronta neppure il tema della soggettività dell’applicazione di intelligenza artificiale, di grande fascino teorico, ma semplicemente e pragmaticamente constata che essa è parte del sito della società e dunque la società che ha scelto di avvalersene ne risponde. E taglia così il nodo gordiano. Ma se pure fosse stata ammessa la soggettività della chatbot, come ha cercato di sostenere Air Canada, chi avrebbe risarcito i danni al signor Moffatt? La risposta non può che essere la stessa: la società che ha scelto di inserire nel proprio sito la chatbot.

Questa decisione, anche perché è fra le prime, rappresenta un importante punto di partenza.

Il caso è circoscritto, come si è detto, ma utile a trarre alcune considerazioni.

Non sappiamo esattamente di che tipo di chatbot si trattasse, se fosse una chatbot del tipo oggi più utilizzato, che risponde a domande di base, automatizzate, o invece una chatbot in grado di imparare e personalizzare le risposte a seconda delle esigenze dell’utente, come ad esempio Siri o Alexa.

Ma il punto è che ne risponde chi se ne avvale, in questo caso mettendola a disposizione dei clienti, e che la questione della soggettività non è rilevante. A conclusioni non diverse si sarebbe giunti se un impiegato della società avesse fornito risposte ugualmente sbagliate, con la differenza che il datore di lavoro avrebbe potuto rivalersi sul dipendente, ma non sarebbe cambiata la risposta nei confronti del cliente. Anche in questo caso, non si può escludere, peraltro, una responsabilità di chi ha addestrato la chatbot o l’ha programmata.

Un’altra considerazione può trarsi da questa decisione. Non solo il giudice ha deciso -ovviamente- sulla base del diritto vigente, ma la decisione appare assolutamente adeguata. Come spesso si è sostenuto in queste pagine, non occorrono, dunque, sempre e in ogni caso nuove norme, per regolare nuovi fenomeni. Anzi, al contrario, è necessario valutare settore per settore, quando nuove norme siano necessarie. In questo caso, ampio spazio resta aperto alla disciplina contrattuale che potrà circoscrivere in vario modo e cercare di limitare la responsabilità per l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale.

Per il momento, dunque, in attesa di nuove sentenze, aspettiamoci nuovi fantasiosi disclaimer sui siti che usano chatbot.

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Plusvalenza immobiliare anche senza il pagamento

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore 14 febbraio 2024 di Alessandro Germani

Sopravvenienza passiva se il contratto è risolto per il prezzo non versato

La plusvalenza derivante dalla cessione di un immobile concorre al reddito d’impresa del contribuente, non rilevando il fatto che successivamente il contratto sia stato risolto per mancato pagamento del prezzo, in quanto ciò determina una sopravvenienza passiva. Così l’ordinanza 39/36/2024 della Cassazione.

Per la Suprema corte ha dunque ragione l’Agenzia rispetto ai giudici di secondo grado. In motivazione, infatti, si ricorda come in caso di cessione d’azienda rileva il realizzo della plusvalenza alla conclusione del contratto, non rilevando l’omessa percezione del prezzo, la sua rateizzazione o l’estinzione dell’obbligazione a seguito di transazione (Cassazione 4365 e 4366 del 2011, 14848/18). Anche perché se da un lato il contribuente subisce la tassazione della plusvalenza, poi avrà comunque diritto a iscrivere a bilancio la relativa minusvalenza (Cassazione 14560/21 e 24378/16). Per la Corte quindi la causa va decisa nel merito, con il parziale rigetto dell’originario ricorso del contribuente limitatamente alla ripresa concernente la plusvalenza.

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Stretta sulle frodi Iva anche sulle auto da San Marino e Vaticano

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore 17 febbraio 2024 di Simona Ficola e Benedetto Santacroce

La circolare 3/E: l’aliquota sulla cessione del pellet di legno al 22% dal 1° marzo

Primi chiarimenti sulle novità Iva. La circolare 3/E/2024 affronta le modifiche sulle imposte indirette contenute nella manovra 2024, nel decreto Anticipi (Dl 145/2023) e nel decreto salva infrazioni (Dl 69/2023).

Sull’Iva, l’articolo 1, comma 45, della legge di bilancio 2024, prevede una modifica delle aliquote Iva relative alle cessioni di alcuni prodotti per l’infanzia e per l’igiene femminile, precedentemente ricompresi nell’ambito applicativo dell’aliquota ridotta al 5 per cento. La norma in argomento interviene nella parte III della Tabella A allegata al decreto Iva, ricomprendendo tra i beni e servizi soggetti ad aliquota Iva del 10 per cento: il latte in polvere o liquido per l’alimentazione dei lattanti, condizionato per la vendita al minuto; gli estratti di malto e le preparazioni per l’alimentazione dei fanciulli, per usi dietetici o di cucina. La medesima aliquota del 10 per cento è prevista anche per i prodotti assorbenti e tamponi destinati alla protezione dell’igiene femminile e ai pannolini per bambini. Vengono, infine, esclusi dal novero dei beni assoggettati ad aliquota ridotta i seggiolini per bambini, per i quali l’imposta torna ad applicarsi nella misura ordinaria, pari al 22 per cento.

Sempre restando in tema di aliquota al 10 per cento, la legge di bilancio dispone la proroga dell’applicazione di tale aliquota in relazione al pellet di legno, ma solo per i mesi di gennaio e febbraio 2024; dal prossimo 1° marzo 2024, quindi, la cessione di pellet di legno tornerà ad essere assoggettata all’aliquota Iva ordinaria del 22 per cento.

Inoltre, la legge di Bilancio ha previsto la riduzione da 154,94 euro a 70 euro (Iva inclusa) del valore indicato in fattura delle cessioni di beni (restano escluse le prestazioni di servizi) destinati all’uso personale o familiare, da trasportarsi nei bagagli personali fuori del territorio doganale della Ue, effettuate dal 1° febbraio 2024 a favore di soggetti domiciliati o residenti fuori della Ue (ovvero, come chiariscono le Entrate, le persone fisiche che, indipendentemente dalla cittadinanza, abbiano il domicilio o la residenza abituale in un Paese situato fuori del territorio doganale della Ue), al di sopra del quale la cessione può avvenire senza pagamento d’imposta. Le modalità con cui tale agevolazione può essere riconosciuta sono due: immediata, in sede di cessione, emettendo fattura senza applicazione dell’Iva, ovvero differita, con la restituzione dell’imposta originariamente applicata, tramite rimborso della stessa. La cessione dei beni ai viaggiatori extra Ue deve essere documentata tramite il sistema Otello.

Infine, per contrastare le frodi Iva nel settore del commercio dei veicoli, è stata estesa la procedura di immatricolazione prevista per i veicoli di provenienza unionale, anche a quelli provenienti dallo Stato della Città del Vaticano e dalla Repubblica di San Marino. Anche in queste ipotesi la richiesta di immatricolazione o di voltura di autoveicoli è subordinata alla contestuale presentazione di una copia del modello F24 recante, in relazione a ciascun veicolo, il numero di telaio e l’ammontare dell’Iva assolta in occasione della prima cessione all’interno del territorio dello Stato.

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Cybersecurity, record per il mercato italiano: spesa a 2,15 miliardi

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore 22 febbraio 2024 di Enrico Netti

Il 62% delle grandi aziende ha investito di più in difesa digitale delle infrastrutture

La cybersicurezza è la priorità digitale e nel 2023 gli investimenti delle aziende italiane sono cresciuti a doppia cifra. Gli investimenti hanno raggiunto i 2,15 miliardi con un +16% sul 2022. Quasi i due terzi delle grandi aziende, il 62% per la precisione, ha aumentato la spesa per la difesa digitale delle proprie infrastrutture e dei propri asset materiali e intangibili. L’impegno c’è ma scorrendo il rapporto tra investimenti e Pil emerge la scarsità delle risorse messe in campo. Il rapporto tra la spesa in cybersicurezza e Pil dell’Italia è allo 0,12%, dato che colloca il nostro paese all’ultimo posto tra quelli del G7. Questa classifica vede al primo posto gli Usa con lo 0,34%, il Regno Unito con il 0,29% mentre altre potenze europee come Francia o Germania sono allo 0,19%. È quanto rivela l’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection della School of Management del Politecnico di Milano presentato oggi nel convegno «Beyond cybersecurity: tra intelligenza umana e fattore artificiale» che Il Sole-24 Ore anticipa.

Preoccupano i dati degli assalitori: i tre quarti delle grandi organizzazioni italiane segnala un aumento dei tentativi e il 12% ha subito danni. Per la difesa l’81% delle grandi aziende si è dotata di un piano di sviluppo strutturato. Il punto debole sono le Pmi perché più dei tre quarti della spesa in cybersecurity è in capo alle grandi aziende. «Le istituzioni e la filiera devono supportare l’ingresso delle Pmi in questo mercato, indirizzando i loro investimenti e definendo iniziative per creare una cultura sulla cybersicurezza – spiega Alessandro Piva, direttore dell’Osservatorio -. Servono fondi e programmi che spingano le Pmi a investire in sicurezza con crediti d’imposta o altri incentivi fiscali, con finanziamenti a fondo perduto».

La maggioranza degli attacchi è causata dalla criminalità che usa ransomware ma in Italia circa un terzo ha ragioni politiche e ideologiche. Le bande di hacker usano l’intelligenza artificiale per campagne di social engineering più incisive e su larga scala, più precise nell’individuare le possibili vulnerabilità e la creazione di deepfake volti a creare disinformazione. La stessa Ai può anche essere usata per difendere le aziende. «È essenziale cogliere il potenziale delle tecnologie, in primis le più innovative come l’intelligenza artificiale – segnala Gabriele Faggioli, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Cybersecurity -. Dall’altro, non va sottovalutata la componente umana, insistendo sulla formazione e sensibilizzazione dei lavoratori, con l’obiettivo di creare una mentalità security-first».

Il ricorso all’intelligenza artificiale è agli inizi. È dispiegata dal 56% delle grandi aziende per la cyberdifesa ma solo una su cinque usa questi strumenti in modo esteso. Si usano soprattutto per individuare possibili anomalie che si discostano dai consueti comportamenti, identificare nuove potenziali minacce e vulnerabilità zero-day (70%).

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Documenti da San Marino, ritrasmissione allo Sdi se il formato è cartaceo

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore lunedì 26 febbraio 2024 di Matteo Balzanelli, Giampaolo Giuliani e Massimo Sirri

Nessun obbligo invece se il cedente sammarinese emette e-fatture (con Iva)

Nella disciplina Iva, gli acquisti di beni presso operatori sammarinesi hanno sempre richiesto delle procedure particolari rispetto alle importazioni o agli acquisti intracomunitari. Ciò è principalmente dovuto alle peculiarità di questo piccolo Stato, non aderente all’Unione europea e interamente confinante con l’Italia, dove i varchi di confine non sono vigilati dalle amministrazioni finanziarie dei due Paesi.

Tuttavia, queste particolarità da sole non bastano a spiegare come si è arrivati a predisporre procedure tanto differenziate, soprattutto se si tiene presente che gli operatori sammarinesi sono in grado di emettere fatture elettroniche che, dopo il vaglio del proprio ufficio tributario, sono inviate al Sistema di interscambio, il quale le trasmette all’operatore stabilito o identificato in Italia.

Non si vede quindi la ragione perché gli operatori italiani, quando prelevano dal proprio cassetto fiscale delle fatture elettroniche trasmesse da operatori sammarinesi, debbano a loro volta rinviare allo Sdi un nuovo documento.

In verità questo non vale in tutti i casi, ma soltanto per alcune operazioni: infatti, quando il cedente sammarinese emette delle fatture elettroniche con addebito d’imposta, l’acquirente italiano non deve fare alcunché. Diversamente, se la fattura (con Iva) anziché in formato elettronico viene spedita o consegnata dal cedente sammarinese in formato cartaceo, l’operatore italiano deve trasmettere allo Sdi «un documento con Tipo Documento TD28».

È importante rilevare che tale trasmissione deve essere effettuata solamente al ricevimento di una fattura in originale munita dei visti dell’ufficio tributario sammarinese e dell’agenzia delle Entrate.

Il diverso trattamento

Per quanto attiene alle fatture senza addebito d’imposta, per le quali l’acquirente italiano deve assolvere l’Iva mediante il meccanismo dell’inversione contabile, vi è l’obbligo di predisporre un documento con Tipo Documento TD19, a nulla influendo la circostanza che la fattura sia in formato elettronico o in formato cartaceo.

Tutto ciò è strano, perché le fatture elettroniche senza addebito d’imposta, al pari di quelle con addebito di Iva, sono esaminate dall’ufficio tributario e ulteriormente controllate dallo Sdi prima che siano depositate nel cassetto fiscale dell’acquirente: sicché non si vede la ragione di obbligare alla predisposizione di un documento elettronico per le prime (senz’Iva), quando per le seconde (con Iva) si riconosce piena validità alla fattura emessa dall’operatore sammarinese.

I momenti rilevanti

A ogni modo, al di là di queste bizzarrie, preme sottolineare che, in caso di acconti per acquisti effettuati presso operatori sammarinesi, questi ultimi non devono emettere fattura, in quanto tale obbligo scatta con la materiale uscita delle merci dal territorio sammarinese, momento in cui l’ufficio tributario riconosce il rimborso dell’imposta sulle importazioni e appone i visti sulle fatture.

Parallelamente, per gli acconti versati, gli acquirenti italiani non devono assolvere l’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile, in quanto l’operazione diventa rilevante ai fini Iva al momento dell’importazione, individuato nella data di partenza del bene da San Marino.

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Emirati Arabi Uniti fuori dalla lista grigia Gafi

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore 1 marzo 2024 di Valerio Vallefuoco

Anche Barbados, Uganda e Gibilterra escono dal monitoraggio rafforzato

Importanti novità per la regolamentazione antiriciclaggio internazionale dalla ultima sessione plenaria di Parigi del Gafi (Gruppo di azione finanziaria internazionale) del 23 febbraio. Tra i principali risultati vi è una nuova guida basata sul rischio per l’attuazione della raccomandazione 25 sulla titolarità effettiva e la trasparenza degli istituti giuridici. I delegati della rete globale Gafi composta da oltre 200 Stati hanno deciso di sottoporre a consultazione pubblica una serie di opzioni per potenziali modifiche alla raccomandazione 16 e alla sua nota interpretativa sui bonifici bancari. Le revisioni proposte adattano gli standard Gafi ai cambiamenti dei modelli di business e degli standard di messaggistica dei sistemi di pagamento e a garantire che rimangano neutrali dal punto di vista tecnologico.

L’assemblea ha finalizzato le modifiche alla sua metodologia di valutazione per riflettere le recenti revisioni degli standard Gafi per proteggere le organizzazioni non profit da potenziali abusi per il finanziamento del terrorismo. Il Gafi ha inoltre identificato delle giurisdizioni con attività di asset virtuali di importanza rilevante, per sostenerle nell’implementazione dei requisiti del Gafi per la supervisione e la regolamentazione di questa attività.

Quanto agli aggiornamenti delle liste, rimossi quattro Paesi dalla lista di monitoraggio rafforzato a seguito di ispezioni in questi Paesi. Sono uscite dalla lista grigia Barbados, Gibilterra, Uganda ma soprattutto gli attesissimi Emirati Arabi Uniti. Questi ultimi hanno rafforzato l’efficacia del loro regime antiriciclaggio e antiterrorismo per rispettare gli impegni del piano d’azione relativi alle carenze strategiche individuate dal Gafi nel febbraio 2022, tra cui: (1) aumento delle richieste segnalazioni di operazioni sospette in uscita per facilitare le indagini in materia di riciclaggio e finanziamento del terrorismo; (2) miglioramento della comprensione dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo da parte delle autorità di vigilanza delle attività e professioni non-finanziarie, applicando sanzioni efficaci e proporzionate per le inadempienze in materia di riciclaggio e finanziamento del terrorismo che coinvolgono gli intermediari finanziari e le attività e professioni non-finanziarie e aumentando la presentazione di segnalazioni di operazioni sospette per tali settori; (3) sviluppo di una migliore comprensione del rischio di abuso delle persone giuridiche e attuando misure di attenuazione basate sul rischio per impedirne l’abuso; (4) fornitura di ulteriori risorse alla locale Uif per aumentare la sua capacità di fornire informazioni finanziarie; (5) aumento delle indagini e i procedimenti giudiziari in materia di riciclaggio; (6) garanzia di l’effettiva attuazione dei controlli sugli operatori attraverso la sanzione della non conformità ,dimostrando una migliore comprensione dell’evasione delle sanzioni Onu tra il settore privato. Gli EAU non sono quindi più soggetti al processo di monitoraggio rafforzato del Gafi.

La plenaria ha infine approvato la nomina di un nuovo presidente del Gafi (2024-2026): Elisa de Anda Madrazo, messicana, assumerà l’incarico il 1° luglio 2024.

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Non residenti con divieto di fattura elettronica negli scambi B2B

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore 5 marzo 2024 di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

Con il sistema interscambio possibile inviare documenti fuori campo Iva

Nei rapporti B2B divieto di fatturazione elettronica per il soggetto non residente, non stabilito in Italia, ma identificato direttamente o con rappresentante fiscale: tramite SdI potrà essere trasmesso solamente un documento a fini contabili o organizzativi, tranne nelle operazioni con consumatori finali in cui risulta debitore di imposta. Con la risposta a interpello n. 58/E, pubblicata ieri, l’Agenzia delle entrate conferma quanto già indicato con precedenti documenti di prassi, ribadendo il formale divieto di emissione di fatture per un soggetto non residente, consentendogli tuttavia, attraverso il Sistema di interscambio, l’invio di un documento contabile fuori campo Iva con codice natura N.2.2..

L’istanza di interpello è stata formulata da una società sammarinese: le spedizioni di prodotti finiti, in favore della clientela italiana, unionale o estera, sono effettuate da un centro di logistica ubicato sul territorio nazionale. Avvalendosi di un rappresentante fiscale, l’interpellante intende procedere, da un lato, alla trasmissione di fatture elettroniche per cessioni intraunionali e per le esportazioni; dall’altro, nei confronti di clientela italiana, all’invio di un documento con validità esclusivamente contabile in quanto il cliente, in qualità di debitore di imposta, è tenuto ad assolvere l’Iva mediante autofattura o inversione contabile.

Nel ripercorrere la disciplina normativa circa la documentazione degli scambi commerciali con San Marino, le Entrate ricordano come quando il cedente/prestatore è un soggetto non residente, l’assolvimento dell’imposta tramite inversione contabile deve essere realizzato dal cessionario/committente stabilito. Cedente o prestatore non residente, anche se identificato in Italia, non è infatti tenuto all’emissione della fattura tramite l’identificativo Iva italiano.

Tuttavia, in relazione ad una cessione interna, la disciplina normativa non esclude che il rappresentante fiscale possa emettere un documento non rilevante Iva nei confronti di soggetto residente.

In assenza di obbligo di documentazione tramite fattura elettronica, l’operatore non residente, per necessità organizzative o anche solo di migliore e più trasparente gestione dei rapporti tra le parti, potrà emettere documenti a fini contabili in relazione alla cessione di beni presenti sul territorio nazionale indicando, oltre al codice natura N2.2., anche che la relativa imposta sarà assolta dal cessionario nazionale ex articolo 17, comma 2, del decreto Iva.

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Mancata compilazione RW: conta il valore dell’immobile

12 Febbraio 2024

Il Sole 24 Ore 15 Gennaio 2024 di Rosanna Acierno

Ho presentato nel 2019 dichiarazione integrativa, per l’anno di imposta 2015, per mancata compilazione del quadro RW, relativamente a un fabbricato posseduto al 50% in Francia, del valore totale di 310.000 euro. L’agenzia delle Entrate vuole emettere nei miei confronti atto di contestazione, poiché, a suo dire, la sanzione del 3% sul valore del patrimonio non dichiarato doveva essere calcolata su 310.000 euro, e non, come ho fatto io, su 155.000 euro, che è il valore da me posseduto dell’abitazione. Ha ragione l’Agenzia?

La tesi sostenuta dall’agenzia delle Entrate è conforme al disposto normativo.

Si fa rilevare, infatti, che, secondo quanto stabilito dall’articolo 5, comma, 2 del Dl 167/1990, la mancata compilazione del quadro RW è punita con una sanzione dal 3 al 15% del valore dell’immobile non dichiarato (o con sanzione dal 6 al 30% del valore dell’immobile non dichiarato, ove quest’ultimo sia detenuto in un “paradiso fiscale”), a nulla rilevando la quota di possesso.

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Conti correnti: la banca deve vigilare sui movimenti anomali

12 Febbraio 2024

Il Sole 24 Ore 13 gennaio 2024 di Antonio Criscione

I giudici smontano le difese dell’istituto sulla responsabilità

«Nonostante la banca non abbia alcun dovere generale di monitorare la regolarità delle operazioni ordinate dal cliente, nondimeno, in presenza di circostanze anomale idonee a ledere l’interesse del correntista, questa, in applicazione dei doveri di esecuzione del mandato secondo buona fede, deve rifiutare l’esecuzione o almeno informare il cliente». La Cassazione con la sentenza 30588/2023, ribadisce il concetto per cui, in presenza di circostanze anomale che possono ledere l’interesse del correntista, la banca in applicazione dei doveri di esecuzione del mandato secondo buona fede, deve rifiutare l’esecuzione dell’operazione o almeno informare il cliente. «La peculiarità di questa sentenza – spiega l’avvocato Antonio Pinto – è però soprattutto nella confutazione analitica di tre eccezioni che la banca aveva sollevato». Le tre circostanze invocate, dalla banca sono: il fatto che vi era stato un terzo che aveva posto in essere una condotta illecita a danno della cliente, il fatto che la banca non poteva sapere che la cliente era gravemente malata, il fatto che la banca aveva comunicato mediante gli estratti periodici del conto corrente tutte le operazioni eseguite. «La Cassazione ha affermato – continua Pinto – che sussiste comunque la responsabilità contrattuale della banca, anche in presenza dei tre eventi pur provati dall’istituto di credito. Ciò perché, secondo la Corte, l’accertata inosservanza degli obblighi di protezione (di astensione dall’operazione o almeno di informativa specifica sulla operazione anomala) sono comunque sufficienti ad integrare la negligenza e quindi la colpa contrattuale, foriera di responsabilità. Si tratta di un principio importante e spendibile anche in materia di cause per frode informatica o per violazioni di norme di protezione in materia di vendita di prodotti finanziari». Pinto ricorda anche un’ulteriore ragione di utilità della sentenza, stavolta sotto il profilo processuale. Infatti, era accaduto che la cliente in citazione aveva proposto solo una domanda di responsabilità contrattuale per violazione del mandato professionale contenuto nel contratto di conto corrente e solo in sede di memoria di precisazione della domanda aveva anche formulato la domanda di inadempimento delle regole inerenti la gestione patrimoniale della cliente. «La Cassazione afferma – conclude Pinto – che nel giudizio di responsabilità per inadempimento contrattuale del professionista, non costituisce mutamento della domanda, ma semplice ed ammissibile emendatio libelli. Il principio è importante ed utile per le difese dei clienti, perché spesso – solo dopo che la banca si costituisce e deposita tutta la documentazione utile – è possibile individuare altre ragioni di doglianza rispetto alla domanda principale».

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