Black list con raddoppio solo dal 2009

8 Marzo 2018

Il Sole 24 Ore domenica 4 Febbraio 2018 di A.I.

Accertamento. La Cassazione esclude la retroattività della presunzione sugli investimenti detenuti in paradisi fiscali

Investimenti e attività finanziarie detenute nei paradisi fiscali e non dichiarate si presumono redditi sottratti a tassazione solo dal 2009 in quanto la norma non può considerarsi retroattiva. A fornire questo principio è la Cassazione con la sentenza 2662/2018 depositata il 2 febbraio.
La vicenda posta all’attenzione dei giudici riguardava la pretesa di maggior reddito contestata dall’Agenzia ad alcuni contribuenti in conseguenza delle informazioni risultanti dalla nota lista Falciani. Le rettifiche riguardavano i periodi 2005, 2006 e 2007. L’Ufficio in particolare riteneva applicabile (retroattivamente) la presunzione di maggior reddito introdotta dall’articolo 12, comma 2, del Dl 78/2009, convertito dalla legge 102/2009. In base a tale norma infatti:
investimenti e attività di natura finanziaria detenute negli Stati a fiscalità privilegiata in violazione degli obblighi di dichiarazione, ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione;
in tal caso, le sanzioni sono raddoppiate.
Con l’entrata in vigore di questa disposizione è subito iniziato un ampio dibattito sulla sua possibile applicazione retroattiva.
In sintesi, secondo l’amministrazione essa era applicabile retroattivamente e quindi anche ai periodi antecedenti il 2009, fermo restando ovviamente i termini di decadenza dell’accertamento (peraltro nella specie raddoppiati). Secondo, invece, i contribuenti e molte commissioni tributarie, la normativa, introducendo una nuova presunzione, non poteva considerarsi retroattiva ma trovava applicazione solo per il futuro, quindi dal periodo 2009 (dichiarazione 2010).
Ora finalmente è intervenuta la Suprema Corte che, con una pronuncia pienamente condivisibile, sia sotto il profilo delle motivazioni giuridiche, sia per il buon senso che esprime, ha ritenuto che la norma in questione pone, in favore del fisco, una più favorevole presunzione legale relativa rispetto al quadro normativo previgente. La sua natura procedimentale sostenuta dall’agenzia delle Entrate, risulterebbe in contrasto con il tradizionale criterio della «sedes materiae», che vede abitualmente le norme in tema di presunzioni collocate nel codice civile e dunque di diritto sostanziale e non già nel codice di rito, ma, soprattutto, porrebbe il contribuente, che sulla base del quadro normativo previgente non avrebbe, ad esempio, avuto interesse alla conservazione di un certo tipo di documentazione, in condizione di sfavore, pregiudicandone l’effettivo espletamento del diritto di difesa, in contrasto con i principi agli articoli 3 e 24 della Costituzione. Da qui il rigetto del ricorso dell’Ufficio che pretendeva l’applicazione della presunzione anche per gli anni ante 2009.
La pronuncia è rilevante perché uffici e Guardia di Finanza hanno sempre applicato retroattivamente sia tale presunzione, sia le sanzioni aggravate, con la conseguenza che ci sono numerosi contenziosi pendenti. Da segnalare infine che molti contribuenti hanno definito la voluntary disclosure “subendo” la retroattività della disposizione imposta dall’Agenzia, pena l’inammissibilità delle richieste. Ora emerge che avrebbero dovuto pagare molto meno.

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