Operazioni inesistenti, prova a carico delle Entrate

9 Novembre 2017

Il Sole 24 Ore 28 Ottobre 2017 di A.I.

Frodi. La Cassazione

Nell’ipotesi in cui sia contestata l’inesistenza soggettiva dell’operazione, grava sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche in via presuntiva, l’interposizione fittizia del cedente, ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell’operazione, eventualmente da altri soggetti, nonché la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa. Spetta, invece, al contribuente che intende esercitare la detrazione dimostrare l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale ingenerato dalla condotta del cedente. È questo il principio ribadito ieri da due ordinanze 25538 e 25545 della Cassazione in tema di fatture soggettivamente inesistenti. In entrambe le pronunce la Corte ha rigettato i ricorsi delle Entrate secondo cui, contrariamente alle decisioni dei giudici di merito, l’Iva assolta dai contribuenti, che avevano ricevute fatture soggettivamente inesistenti, non poteva essere detratta.
In entrambe le vicende i contribuenti interessati avevano acquistato merce da soggetti che poi erano stati ritenuti “cartiere” con la conseguenza che, stante l’oggettiva effettuazione dell’operazione commerciale e risultante fittizio il cedente, veniva richiesta l’Iva detratta a fronte di tali acquisti.
I giudici di merito ritenevano dimostrata l’inconsapevolezza degli acquirenti e quindi la loro buona fede, con la conseguenza che non potevano ritenersi coinvolti nella frode commessa dai fornitori. In simili circostanze, la buona fede diventa centrale per evitare il coinvolgimento negli illeciti Iva. Tale concetto è stato in un qualche modo introdotto nel nostro ordinamento dalla Corte di giustizia, intervenuta sul tema. Un soggetto, infatti, non può avvalersi delle norme del diritto Ue quando nell’ambito di un’evasione o di un abuso, sapeva o avrebbe potuto sapere di partecipare ad una frode. A tal fine, è legittimo pretendere che l’operatore adotti tutte le misure (che gli si possono ragionevolmente chiedere) per assicurarsi che l’operazione non comporti una propria partecipazione all’evasione.
La Cassazione ha così confermato che spetta alle Entrate dimostrare che il contribuente «sapeva o avrebbe dovuto sapere» che con il proprio acquisto partecipava ad una frode.

Doing business in San Marino

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